domenica 30 luglio 2017

àdhara, part II

di guido monte
(foto di graciela muller pozzebon; commento di francesca saieva)

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giungiamo ai campi del pianto. ecco fedra e pasifae,
infine elissa, la donna che ho amato e abbandonato
perché non avevo la forza di cambiare il mio destino.
piango (sono l’amoreux?), mi avvicino e le dico parole:
non volevo lasciarti, obblighi mi trascinano controvoglia
per le ombre, per regni abbandonati, per la notte profonda…
non andare via, forse non potremo mai più rivederci…
(ma la sua ferita è in cancrena, tiene gli occhi fissi lontano)

vedo allora un corpo inutilmente mutilato,
senza mani, senza orecchie, senza naso, le pendu.

la notte corre… lasciamo a sinistra il tartaro d’acciaio,
le diable prigioniero di una donna sporca di sangue,
mentre stridono catene sotto la roue de fortun.

a steel building, la maison dieu
all the authorities burning inside (what a silly demagogy),  
prime ministers kings generals & their disfigured faces,
cropped ears cropped noses. And (once hailing) crowds crawl
before the river, just shades hunting for themselves…
the weeping camp smells of hospital wards,
syrinxes phleboclysis crutches & amputation saws.

la Mort, the rest is silence.

the woman-kamikaze: no arms; her mother, no legs,
                                           killed in a refugee camp.

Elì Elì, lemà sabactani?


finalmente giungiamo in campi vestiti di luce,
che conoscono sole e stelle proprie.
e mio padre, la justice,
quello per cui avevo passato i grandi fiumi dell’erebo.
lo trovo occupato a controllare altre anime, le jugement:
prima che rifacciano di nuovo il grande passo
verso la vita, ins leben.

vorrei abbracciarlo, ma non posso,
son smeshnovo sheloveka
sogno ridicolo di uomo (pulvis et umbra sumus).

e mi parla di chi beve lunghe dimenticanze
sul fiume incurante dei campi elisi (asperges me, hysopo), 
dello spirito interiore che nutre cieli e terre del mondo,
del passato che ognuno di noi patisce,
della fragile joi qu’esper, denan.

gigli versati a piene mani mi mostra nel tempo a venire,
fiori purpurei della catena delle generazioni,
fino alle due porte del sogno.

una è di corno, dei sogni veri, l’altra d’avorio, di quelli falsi:
il padre mi dice di passare con sybilla per quella d’avorio,
e mi fa uscire, insieme ai miei mani viaggianti,
a riveder le stelle, a riveder le stelle

Om Shantih, comme en apparence de rêve 
nous traversons la porte d'ivoire.

at the dream doors: der Horizont, le monde
few guests de terra lonhdana.

on the stream only green leaves, mizu no oto!
pebbles & nests on the water-lilies…
a twinkling morning star, l’ètoile, la alma,
                                                talitha kumi
in alto ancora le stelle che ci guardano

commento di francesca saieva:
Ins Leben… Il passato è qui con il tuo viso, mentre rovine  rivestono piedi (Benjamin). Il presente è qui in bilico, da quando un imprevisto è la sola speranza (Montale). E vorresti dire la parola buona chiesta, ma l'aridità degli occhi va al cuore, così per il sentiero, tu stentatamente in tutto (Quinzio).  Il Tempo batte nuovamente. Domandi, chiedi perdono. Ciò che è stato, ciò che non è… non importa, ora che gli orrori inondano lacrime e, come schegge affilate,  assaporano  radici, ‘midollo’ di bosco. Così, scivoli lungo la Notte e il suo Silenzio... per una nuova Aurora, nonostante l'abisso di quaggiù (Starobinski). E braccia spalancano nuove porte del sogno: ins Leben… ricorda, questo silenzio non è morte… tra onde del Fiume, ciò che nasce da morte, ciò che è vero nella menzogna (Schuré). Per te, sulla soglia della separazione e dell’incontro (Neher), non vedo ‘fiori bianchi’, ma raccogli, oggi, un filamento… la porta della sua anima (Zambrano) ... in fondo ins Leben.

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