domenica 29 gennaio 2017

La scelta di Sophie

 di Daniela Palumbo
 
Quanto ampio può essere un letto?
Quanto largo ed accogliente, quanto pietoso? Sebbene sia diritto - o "retto" - il materasso, e rotondo il suo guanciale...
"La scelta di Sophie", rivisto poche ore fa, in occasione della Giornata della Memoria, è un film di una poesia, e di una tristezza, indicibili.


 Poesia, come questa di Emily Dickinson, i cui versi accompagneranno, fino alla fine, la storia. Indicibile: non esprimibile a parole (e si perdoni il controsenso). Molto viene affidato, per questa ragione, alle immagini, ai ritratti, tra cui tanti primi piani. E, ancor di più, alla "luce", che sia il riflesso di un'alba livida o il riverbero dei fari accesi sul ponte di Brooklyn, sempre ugualmente evocativa.
Molto suggerisce la musica, spesso carezzevole come un sussurro, pacata come una preghiera estrema.
E la voce, certamente; la voce dell'io narrante - giovane americano del sud giunto da poco a New York e aspirante scrittore ancora "ignaro dell'amore" - ma più di ogni altra, la voce di lei, la "dea delle sue eterne fantasie", donna dalla pelle chiara e dall'oscuro linguaggio - ora il  polacco delle sue origini, ora l'inglese incerto e approssimativo del suo presente, ora il tedesco dei flashback impietosi...

"Ci sono tante cose che non sai, troppe cose che non posso dirti..."

Non è la storia di un amore, "Sophie's choice"; non è la storia di un'amicizia - lo scrittore, la bella polacca e il suo compagno  "biologo" diventati inseparabili - o non soltanto; non è un film sulla shoah - deportazioni, campi di concentramento, torture - o non solo.
Forse è una "scelta", che si impone "anche" allo spettatore, tra tutte queste cose.

"Andiamo pure in quella fattoria, Stingo - dirà lei, dopo una difficile "confessione", che da sola spiega il titolo del film - ma non parlarmi di matrimonio, o di figli..."

Caro "scrittore", giovane protagonista di questo film, caro spettatore che vivi la storia attraverso lui, prima di "scegliere" - o prima di credere di poterlo fare - chiediti: quanto ampio può essere il tuo letto? e diritto  - o retto - il suo materasso?
Quanto grande, e onesta, sarà - o sarebbe - la tua capacità di accogliere, e comprendere poi, tutto quello che c'è - o ci sarebbe - da accogliere, e comprendere, in uno sguardo dolce e sfuggente, nelle dita nervose, in quelle labbra tremanti, esitanti, troppo spesso "sbagliate" (ti sei messo in "gangheri", e ancora "Emil Dickens"...), e nelle braccia morbide, seppure marchiate da tracce d'inchiostro tra le vene fin troppo evidenti, in quella pelle chiara e liscia e tuttavia segnata nei polsi?
  "Che te ne fai, di una vecchia signora polacca, Stingo?"
Ecco: che te ne fai? Tu, ancora vergine, a ventidue anni, tu così giovane e pieno di belle speranze, tu che hai vissuto, sofferto, e conosciuto così poco...
La sposi, dici?
Sì, glielo dici, e lei sorride, insieme a me, e a tutti gli altri che, come me, sarebbero forse in grado di comprendere davvero...
E a cui viene voglia di raggiungerti - oltre la barriera di quello schermo, di quella stessa finzione - e, prendendoti in disparte, suggerirti: no, non è  così, ti stai sbagliando, anche se sei convinto del contrario: dovresti amarla, potresti amarla, se vuoi, ma per poco...
Non parlarle di "altro", Stingo, o la perderai. O LEI si perderà. In un'alba livida che per l'ultima volta le illuminerà la pelle, in un letto ancora una volta non abbastanza "ampio", seppure accogliente, nell'abbraccio di una follia estrema, preludio di un giudizio, estremo anch'esso, e inappellabile...
Un giudizio che verrà dal Cielo? Quale Cielo?
"Aujourd'hui encore, je n'attends rien de lui", scriveva Camus nelle sue Lettere a un amico tedesco...
Un giudizio, uno qualunque. E lo sarà in ogni caso. Da ovunque venga.
Un ultimo, e inevitabile, responso. Che ci auguriamo sia davvero "eccellente e giusto".

1 commento:

  1. Bellissima riflessione. Da scrittrice più che da critica cinematografica

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