lunedì 3 agosto 2015

Mia madre

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di Daniela Palumbo
 
Mia madre, anzi la mia mamma, era bella; la più bella di Gela. Quella che per lei i poeti, che poeti non furono mai, scrissero lettere d'amore.
Era la mamma più mamma di tutte, da quando madre non era ancora, e riparava la propria sorella con la lana della sua mantellina, perché il vento non se la portasse via anzitempo.
Mia mamma era la sarta più sarta, su questo non ci è mai piovuto; che trasformava i miei strambi disegni in altrettanti abiti bianchi, o in vestiti da gran ...
dama.
Era golosa, la mia mamma, anche da grande, da tanto grande... Che per gustare una fetta di torta, o un pezzo di gelato, non le importava quasi più di quel cucchiaino, mascalzone...che continuava a tintinnare, irriverente e indiscreto, contro la porcellana o il vetro della coppa.
La madre mia è stata una mamma vera, mi ha fatto nascere, me e i miei fratelli, nonostante il suo amore antico... Per quel dio uomo che popolava i suoi sogni. Che mentre lei correva, lui l'aspettava a braccia aperte, sorridente in cima alle scale, dicendo più volte il suo nome, uguale al proprio: "Lui era lì, ed era alto alto, e io piccina piccina... E io saltavo i gradini, a quattro a quattro, e poi arrivavo là vicino a lui, che era davvero così grande... Che io riuscivo appena a stringergli le ginocchia".


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