lunedì 11 agosto 2014

Ore piccole

 
di Enzo Barone
C’è la grande luce del lampione arancione sulla strada, fredda, pallida e malata. Illumina, ma è triste; sta là, sempre accesa, tutta la notte, ottusa, sempre uguale. Danny non l’aveva mai notata o meglio non da questa prospettiva. E’ l’una e mezza di notte e lui se ne sta là, al buio, disteso sul divano con gli occhi aperti. Non sta pensando a niente in particolare; sta solo con gli occhi aperti a farsi bagnare da quella orrenda, pallida luce arancione.
Sta là senza una ragione, pensa Danny, come una grande vecchia, cieca e rincoglionita, affondata tutto il giorno sul suo divano, che ti guarda coi suoi stupidi occhi opachi e senza espressione.Entra dalla finestra aperta e si prende il soggiorno, facendo diventare acido e squallido anche lui e copre tutto come il becero odore di disinfettante in un ospedale.
Non ha voglia di andare di sopra, di stendersi accanto a sua moglie e prendere sonno. C’è da smaltire la costata, le crepes al cioccolato, le birre e col caldo e il resto è dura. A stare con Sam e gli amici e così: esci solo per un aperitivo e si finisce sempre per strafottersi di cibo, estate o inverno che sia. Danny veramente non avrebbe tutta questa voglia di ingozzarsi così tanto e così spesso con Sam e gli altri, ma è così difficile dire di no, sono simpatici, i tipi da farci a colpo sicuro un party o cose del genere e poi c’è quella faccina deliziosa di Ursula che è una festa starle accanto. Meno male che con questa gente almeno non si finisce la serata sotto i tavoli. Con gli amici di Mia e Liam era così ogni volta, pure di settimana; senza vere ragioni si finiva sempre con l’inciuccarsi come le scimmie e una volta c’era stato uno che era stato tanto idiota da finire pure al pronto soccorso, in coma da alcool.Mercy non ha mai avuto niente in contrario a lasciarlo andare da solo, non gliene importa che veda i suoi amici, e delle amiche non è gelosa – che vada fuori con Sam e gli altri: che esca con loro piuttosto che stare per ore in silenzio davanti alla tv a vedere il football o peggio le partite di poker bevendo Bud o Pepsi. D’altra parte lei la sera è sempre stanca o magari ha un mucchio di cose da fare, del tipo quegli interminabili bagni caldi, curarsi le mani, cercare su internet offerte per scarpe e borse, mettere a posto i conti dell’autorimessa. Cose di questo tipo.Una volta, una volta sola ha fatto storie, quel pomeriggio che aveva saputo che suo cugino Bart era morto all’improvviso con un infarto e lei lavava i piatti e piangeva e gli urlava dalla cucina ”Brutto figlio di puttana non andrai anche stasera con Sam ? Stai qua, almeno stasera, aspetta almeno che mi calmi, che prenda sonno, brutto pezzo di stronzo…” Allora Danny per consolarla era andato da lei, le aveva messo una mano sulla spalla, si era chinato e le aveva dato un bacio sul collo. Poi era uscito lo stesso. Tanto non si sarebbe calmata  neanche se fosse rimasto a casa e poi, dopo tutto, non avrebbe potuto fare molto per lei. Tanto valeva allora andare fuori lo stesso. Poi Mercy non se lo filò per un mese di seguito, e quando le diceva che sarebbe andato al pub con Sam e gli altri o che andava al bowling con Jessie, usciva dalla stanza e si metteva a fare qualcos’altro senza parlare; era il suo modo di farlo sentire in colpa per quella volta.
Fa caldo e umido e le finestre sono chiuse. Danny sta pensando che sarebbe bene fare lo sforzo di alzarsi ed andare ad accendere il ventilatore tre passi davanti a lui. Però non ne ha voglia: se ne sta ancora sdraiato di traverso sul divano a sudare, a farsi coprire dalla luce arancio del lampione e a non pensare a niente. Chissà se è davvero così, che non stia pensando a niente, se è veramente possibile qualche volta non pensare a niente, voglio dire. Dentro a qualcosa la mente bazzica sempre, magari svogliatamente, volendolo o no. I dottori, quelli della testa intendo, dicono che dietro ad ogni cosa, ad ogni comportamento c’è sempre una ragione che sul momento non comprendiamo, anche quando sembra che non si pensi o non si voglia fare niente in assoluto. Magari lui adesso sta là nel bel mezzo della notte di maggio senza far nulla e ci starebbe per l’eternità, chessò, perché il principale ha detto ieri che c’è ancora un calo di clienti e non sa se potrà tenere ancora tre lavoranti in macelleria; oppure per il ciclo di Mercy che adesso fa il grillo e salta un po’ più in là, con all’orizzonte l’idea di rogne cazzute che somigliano a cacchette gialle e a moccoli al naso da pulire. Forse, che ne so, è magari che non è più soddisfatto della vita che fa. O forse sta così sul divano per assurdo, semplicemente perché non trova ancora il motivo di stare in quel modo, ad occhi aperti nel cuore della notte. Come un cane che insegue la sua coda senza sapere perché lo faccia.
Da fuori, tre o quattro case più in là, proprio a proposito se ne sente il latrato, secco, rabbioso, frustrato. Ce l’avrà anche lui con questa notte stupida e lenta. Sul tavolino basso c’è il telecomando della tv. Stende il braccio e l’accende automaticamente, così, senza motivo. Ci sono due tizi, due intellettuali del cazzo probabilmente, che in uno studio desolato e mezzo buio baruffano sullo stato di salute della letteratura giovanile gay nel paese e ogni tanto un tizio, un comico che non si è mai visto prima, li interrompe, sparando delle enormi cazzate che dovrebbero essere intelligenti che non fanno ridere nessuno, anzi quando finisce di interromperli i due sono ancora più cattivi. Adesso sono passati a parlare, così come se niente fosse, della quantità di nitrati presente nell’acqua corrente di molti Stati e quello sembra essere adesso il peggior problema per l’umanità. Ora il comico ha spruzzato in faccia ad uno dei due della gelatina viola e ride da solo come uno scemo e quello continua a parlare come se niente fosse: ora parla dell’incredibile aumento del tasso di alcolisti tra i musulmani americani. Sarà che Danny forse è già un po’ stordito, ma tutto gli sembra assurdamente privo di senso, idiota o delirante. Magari questo è il mondo al giorno d’oggi e non se n’era ancora reso conto. Ad un certo punto gli verrebbe anche da ridere da matti, però sono le due e mezzo, è da solo e anche questo sarebbe da mentecatti. Su un altro canale danno “Il Cacciatore” con De Niro: ha beccato giusto il momento prima della scena della roullette russa. Vedere com’è fragile l’amico di De Niro stasera gli fa troppa tristezza e allora cambia per tempo. Ora c’è una donnona grassa, sui sessanta, che biascica le parole e vende gioielli e spremiagrumi senza entusiasmo, poi su un altro canale un programma che ha l’aria di essere molto serio, sulla discriminazione dei giapponesi d’America negli anni ’40. Danny continua a schiacciare il tasto di avanzamento dei programmi senza tanta voglia, ma neanche smania per andare a letto. Sente nella pancia come un grosso nodo, come un enorme, pesante budino che non riesce ad andare né avanti né indietro; domani potrebbe anche fare a meno di andare in macelleria. Starsene a casa per un paio di giorni non sarebbe una cattiva idea, pensa. Su un canale dove di solito vede i tg con le notizie locali trova un filmetto sbiadito, di qualche decennio fa. Non succede ancora niente di strano, ma dalla musica e dagli atteggiamenti, dagli sguardi che hanno i protagonisti si capisce subito che è un film di sesso. E’ sempre stato bravo a capire dopo dieci secondi di cosa parlano film mai visti. Però pare fatto meglio delle solite robette di questo genere, dove le donne sono tutte trojone dai seni enormi sempre in fregola e gli uomini tutti scopatori a tempo pieno, senza altro da fare nella vita. C’è questa giornalista, che è costretta a sedurre i suoi intervistati per fare i suoi fottuti scoop e lo fa, pare, con riluttanza. Cioè quando ci va a letto lo fa con convinzione, con partecipazione, però è chiaro che non è una puttana. E poi recita bene: ha un viso davvero triste e due cosce lunghe, affusolate che vengono fuori con maliziosa eleganza dalla minigonna. Adesso un pezzo grosso, che è pure belloccio, le sfiora con falsa casualità la coscia, mentre sono in taxi e lei non lo guarda, ma ha un sorriso di inevitabile, elegante assenso. E poi la mano lentamente scivola più su, sotto la gonna, mentre il taxista non si accorge di nulla nel buio dell’auto e continua a chiacchierare di politica. Mentre il film sta entrando nel vivo, di colpo è interrotto da una pubblicità di tagliaerba e decespugliatori. Danny si è rimette a guardare il soffitto e resta così con gli occhi fissi sul tetto, mentre il film riprende.
Sente che qualcosa di pesante macchinosamente continua muoversi e agitarsi nelle parti basse dell’intestino. Dovrebbe andare in cucina e cercare nell’armadietto a sinistra una pastiglia per il mal di pancia. La deve cercare tra decine di scatoline tutte con l’odore della malattia – Mercy ne tiene sempre in casa un anche per i mali di cui non soffre ancora. E poi, mezzo intontito com’è, si dovrebbe mettere a leggere tutti quei nomi strambi di medicine e guardare tutte quelle complicatissime istruzioni per capire che caspita prendere. Su quei foglietti dovrebbero scrivere chessò “per le abbuffate, per lo stomaco attorcigliato, per scopare meglio, per  far sorridere di più tua moglie, magari…” così si capisce al volo quello che ti occorre se stai male, diamine!
Poi, senza che se ne accorga, gli si infilano con la forza in mente quelle due cosce lunghe, sensuali, le labbra della giornalista aperte appena per un sospiro, quel suo modo meraviglioso di offrirsi e negarsi al tempo stesso. Allora pensa che è un idiota e che le gambe di Mercy non hanno in fondo molto da invidiare a quelle altre e che alle volte la mattina quando si veste e lo guarda di sguincio, da sotto in su lo fa diventare  matto, ma è sempre troppo tardi e bisogna andare al lavoro.
Si, dovrebbe smettere di fare l’idiota e salire in camera da letto, svegliarla e fare l’amore con lei fino a sfiancarla. E si fottano mal di mancia, il caldo, lei che non ha mai voglia e tutto il resto. Però non vuole ancora mettere giù i piedi ed alzarsi. Forse sente soltanto il bisogno di stare là disteso a pancia all’aria a guardare il soffitto e la luce arancio, nel bel mezzo della notte, solo lui e il suo mal di pancia. Una vocina bastarda nella testa gli fa a un certo punto: “Se fosse per quella bella faccina di Ursula metteresti subito a terra le gambette, no coglione?” 
Allora tutt’assieme, anche per ripicca a quella vocina, decide di mettere giù le gambe, va in bagno ad orinare e a bere dal rubinetto un sorso d’acqua e poi sale in camera. Si spoglia cercando di non fare rumore. Si sdraia supino sul letto solo con gli slip addosso.
Fa ancora più caldo che di sotto e col condizionatore rotto è un supplizio.
Cosa c’è ancora che non va Danny? Perché cazzo stai ancora alle quattro meno un quarto dell’alba con gli occhi spalancati? a che pensi nuovamente ? O meglio a cosa non pensi con gli occhi fissi sul soffitto? Si, è a Mercy in fondo che stai “a non pensare”. Allora senza volerlo gli riempiono la mente, come un nugolo di vespe nervose, un mucchio di altri pensieri: tutte le volte che lei si incazza, quando invece ci ammazza dal ridere insieme per minuti e minuti, i suoi lunghi ruminanti silenzi, di quando non si capiscono e pare che parlino lingue di due universi lontani, di quando va in giro per la casa urlandogli con una vociona da Eddy Kruger, quando cammina sculettando in quel modo così naturale, che lui la vorrebbe da morire e lei ha sempre in mente tutt’altro da fare. Danny adesso si mette sul fianco destro, assumendo la stessa posizione della moglie. Da una fessura delle imposte la luce illumina la nuca e il braccio sinistro di Mercy. Lui allunga la mano e sfiora delicatamente la sua spalla nuda.
E’ bella mentre dorme, tanto. Pensa che fare l’amore con lei è la cosa che in questo momento desidererebbe di più al mondo. Ma ha paura di svegliarla, di interrompere irrimediabilmente il suo sonno. O forse per il momento non vuole distruggere la contemplazione di quel desiderio.
E poi ci sarebbero quelle cose pensate prima, quel pugno di vespe cattive che pungono.
Ecco adesso vede proiettato sul tetto un file con due elenchi: a sinistra le cose dove lei va forte, i suoi pregi, a destra quello delle cose che non gli vanno proprio di Mercy, i suoi fallimenti di moglie, che poi è sono i suoi verso di lei, che è lo stesso.
Gli sembra che l’elenco di destra sia spietatamente più lungo.
Come fa, nonostante quella sfilza di rottura di palle, dopo tutto a sentirsi ancora preso da questa donna? La vorrà ancora tra dieci-quindici anni? O si farà smontare prima dalla sue lunghe lontananze, dal disprezzo del suo desiderio, dal suo monotono, perenne rancore verso il mondo.
La guarda ancora: la sua pelle nuda sotto la luce fredda la fa una creatura di un altro mondo. Non la sveglierà più adesso, non farà l’amore più con lei, il momento è andato.
La guarda solo e pensa che è Mercy che le piace, lei assieme a quel fottutissimo nugolo di vespe cattive. E forse soprattutto è proprio ai suoi difetti che è dannatamente affezionato, perché sono suoi e di nessun’altra, come la passione morbosa per la vecchia Harley ammaccata e che scatarra un po’. Perché, fino a quando almeno ne sarà capace, sono quelli che lo fanno intenerire di quel dolce  bastardino, rabbioso e con un po’ di rogna.
Si parla della sua Mercy in fondo, non di un’altra, dei suoi fianchi, delle sue preziose scopate, delle due cosce da saltami addosso, della sua disperazione furiosa e del suo rancorare cronico, amico!
Tutto assieme: prendere o lasciare.
Allora è proprio in quel momento, in un brivido solo, avverte con certezza e in modo esatto, di amarla come mai prima nella sua vita e che con quel brivido ci andrà avanti, gli basterà e ci si scalderà quando verrà freddo.
 
 


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