sabato 23 agosto 2014

Altra lettera da Belfast

by Alice d’Alessandro
(photo by Pippo Zimmardi)

Caro Guido,

ti penso spesso in questa fine estate irlandese che odora di autunno. Siamo tornati alla nostra "casa al mare", come la chiama F.

Cosa c'è di diverso dalla nostra partenza? Delle visioni, dei flash da quell'isola, adesso solo luogo fluttuante nella mente. Fettuccine di blu marino tra i pini, scaglie di arcobaleno sul fondo sabbioso del mare, il lumino lontano di una barca che torna al porto, il riflesso tremolante del mare sul soffitto della stanza da letto. E qualche frammento di discussione, udito dal balcone, per caso. Le letture che mi hanno accompagnato a Levanzo le sto adesso completando. Ho quasi finito di leggere "quel che resta di Auschwitz" di Giorgio Agamben, quel libro da cui abbiamo letto qualche stralcio quella sera, in compagnia della cicala e del barbagianni. L'autore riprende alcune righe da "I Sommersi e i salvati" di Primo Levi, righe che mi hanno particolarmente colpito - righe successivamente sviluppate nel libro in ampi paragrafi - e che rivelano l'intestimoniabilità dell'esperienza del campo, del fatto, cioè, che il poeta, lo scrittore, testimoniano per l'impossibilità di vedere:
"Che nel fondo dell'umano non vi sia altro che una impossibilità di vedere - questa è la Gorgona, la cui visione ha trasformato l'uomo in non-uomo. Ma che proprio questa non umana impossibilità di vedere sia ciò che chiama e interpella l'umano, l'apostrofe da cui l'uomo non può distrarsi - questo, e non altro è la testimonianza. La Gorgona e colui che l'ha vista, il sommerso e colui che testimonia per lui, sono un unico sguardo, una sola impossibilità di vedere".
Allora testimoniare, scrivere, diventano esprimere il non-detto e il non dicibile.

I raggi obliqui di questa fine estate annullano i contorni. Nel continuo tornare e mutare della natura attorno, la "definità del provvisorio" - come la chiama Adriana Zarri -  richiama le visioni dell'isola. Ecco queste visioni residue, questi paesaggi, voglio sperarli, come in una preghiera, come i custodi di quelle migliaia di anime di chi muore senza neanche la morte, di chi rimane sommerso. E non penso alla memoria, al tempo, ma semplicemente a una terra che li accolga. Un pensiero, una speranza, che io, tu, noi, loro, saremo sassi di questa terra, parte di un paesaggio fatto di luci e di riverberi, di verdi e di blu, di acque e lave. Allora vorrei che anche per te non vi fosse un senso di inutilità di tutto, come mi scrivi, ma solo "senso del tutto".

Si appresta la sera, vado a ultimare la preparazione della cena. Ci sederemo a tavola e ci sentiremo "fortunati" come dice il piccolo F. quando compriamo la frutta dell'estate. Mi guarda con occhi che brillano e mi richiama: "Mamma, siamo stati fortunati, l'abbiamo trovata!"

Ti abbraccio tanto Guido,
Alice

1 commento:

  1. "... come i custodi di quelle migliaia di anime di chi muore senza neanche la morte, di chi rimane sommerso..." come dice arsenij tarkovski, "oltre l’umido lillà nei possedimenti / al di là dello specchio"

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