sabato 12 ottobre 2013

Artic, lassù sopra le nuvole

di Franco Giolitto

   L’incontro con la guida

  Sull’autostrada Milano-Torino sto correndo con la mia Toyota in direzione di Gressoney la Trinité. È l’ultimo paese della  valle omonima ed è  la  prima valle  della  Valle d’Aosta che si incontra venendo dalla pianura. Sono passate da poco le undici ed all’una e mezza mi dovrò incontrare con la guida Alberto, che ho conosciuto tramite Internet e che ho sentito telefonicamente un paio di volte, e con un’altra persona che non conosco affatto. Insieme dovremo affrontare la cima del Lyskamm Occidentale, uno dei picchi più alti del massiccio del Monte Rosa.


 Il gruppo del Lyskamm comprende il Lyskamm Occidentale e quello Orientale ed è una montagna nota agli alpinisti o aspiranti tali per via di alcune sue pareti piuttosto ripide, ma soprattutto per le sue creste lunghe e affilate che dividono l’Italia dalla Svizzera. Da tali creste, dicono, si potranno ammirare  panorami spettacolari, ma poichè il percorso si snoda  ben oltre i quattromila metri, queste  possono essere ghiacciate ed allora, anche con ramponi e piccozza, il cammino può diventare piuttosto pericoloso.

 Quando si è al volante, si ha molto tempo per pensare; mi chiedo  se  la guida sarà brava e paziente, se ce la farò  ad arrivare in vetta, penso alla  figura che farei se l’ascensione dovesse andar male visto che di questo ne ho parlato  a parenti ed amici,  alcuni dei quali hanno già fatto con successo questa esperienza. E poi come sarà il tempo, le previsioni per oggi e domani non sono bellissime ed inoltre più si sale e più le condizioni atmosferiche  diventano variabili.

 


  Avrò  poi messo  tutto quanto dovevo  nello zaino: guanti, berretto di lana, un asciugamano,  ricambi vari di vestiario… ,  fortunatamente,  questa volta,  non mi sono dimenticato dello spazzolino da denti !

 Dopo tre ore, come preventivato, arrivo a Gressoney la Trinité, la strada poi prosegue  fino a Stafal, dove ci sono gli impianti di risalita  che portano al colle Bettaforca. La zona è  illuminata da un pallido sole.

 Posteggio nel grande parcheggio, ci sono molte macchine ma anche vari posti liberi e con mia grande sorpresa vedo che le biglietterie sono chiuse per la pausa pranzo. E’ l’8 di luglio,  in piena  stagione estiva e mi stupisco che non facciano l’orario continuato. Davanti agli impianti di risalita non c’è proprio nessuno, guardo l’orario è l’una e trentatré, speriamo che la guida arrivi presto.
 Poco dopo ecco due persone in inequivocabile abbigliamento alpinistico, ci salutiamo: sono  Alberto, la guida,  ed Andrea, un suo amico, che farà l’ascensione insieme a noi.
 Chiedo ad Alberto di controllare il mio equipaggiamento così ci dirigiamo verso la mia macchina parcheggiata poco più in là, un rapido controllo all’imbragatura, ai   ramponi, alla  picozza,  qualche consiglio sul vestiario e poi  attendiamo l’apertura della biglietteria.
 La seggiovia è un impianto di risalita che è  stato per lungo tempo  utilizzato solo in inverno durante la stagione sciistica, poi finalmente  si è deciso di sfruttare le grandi possibilità che tale impianto poteva offrire  anche durante la stagione estiva. Gli  escursionisti e gli alpinisti che desiderano fare una passeggiata in alta montagna o che vogliono salire sulle vette del Monte Rosa possono così evitare la faticosa  salita a piedi del vallone della Forca ed arrivare comodamente al colle Bettaforca a quota 2729 metri, da lì inizia il cammino  che sale ulteriormente  per superare un dislivello di 900 metri  e che conduce al rifugio Quintino Sella.
 
  Ci innalziamo  rapidamente con la seggiovia,  sotto di noi  vi è una distesa di prati e pascoli sempre più ripidi con varie  sfumature di verde e con tanti avallamenti; salendo, gli alberi scompaiono ed un manto sottile di erbetta cerca di conquistarsi la montagna.

   
 Il cammino verso il rifugio e la sera al rifugio

 All’arrivo c’è una bella aria fresca. la giornata è diventata un pò nuvolosa  e iniziamo il cammino su una pietraia del tutto priva di vegetazione seguendo gli ometti di pietre impilate che compaiono qua e là, e i segnavia,  che però non  sono sempre ben visibili.
 Proseguiamo il cammino, fermandoci ogni tanto per scattare fotografie. Il paesaggio è piuttosto monotono: pietre su pietre di ogni dimensione, il sentiero è piccolo, ma il calpestio delle molte persone passate prima di noi lo ha reso ben evidente, più in basso si scorgono alcuni laghetti alpini con l’acqua di un azzurro intenso. A volte si incontrano nevai anche estesi ma con neve farinosa e quindi con poca consistenza, sembrano in procinto di liquefarsi, l’estate ha lasciato il suo segno.
 La giornata si fa sempre più nebbiosa c’è anche un po’ di vento, poi ecco la prima pioggerella. Ci dobbiamo fermare per cambiare l’abbigliamento: indossiamo la giacca a vento, il cappuccio, tiriamo fuori il coprizaino  e proseguiamo. Più avanti la pioggia aumenta di intensità e tutto l’ambiente diventa di un grigio uniforme, camminiamo più piano perché  bisogna stare attenti,  con la roccia bagnata infatti è molto più facile scivolare.
I pendii ai lati del sentiero si fanno più ripidi e le rocce più grandi. Dopo un ultimo tratto,  ecco apparire  la  grossa corda bianca  che ci porta sul sentiero che procede in cresta e che ci accompagnerà praticamente fino al rifugio, ancora nascosto dietro le rocce.

 Il percorso alterna alla salita  piccole discese e la corda in certi tratti è fissata alla parete ed in altri costituisce quasi una ringhiera. Anche se a volte non sembra indispensabile perché ci si potrebbe aggrappare  alla roccia, la corda  dà comunque una sensazione di sicurezza. In alcuni punti  le pareti intorno sono piuttosto ripide, c’è un po’ di foschia e,  anche se ora è cessata la pioggia, gli ammassi di  roccia sono umidi e disposti in modo irregolare.
 Continuando si attraversa una passerella con la base ed anche i parapetti di legno, in pratica è un  ponte che unisce due creste e permette di evitare di salire e scendere un noioso fossato.
 Finalmente dopo poco più di tre ore,  il rifugio Quintino Sella è davanti a noi,  lo vedo con molto piacere anche perché oltre alla stanchezza,  sento una fastidiosa umidità.
 Tutto intorno si presentano  le innumerevoli cime alte ed innevate che appaiono e scompaiono alla nostra vista, la visibilità non è molto buona,  grandi nuvole avvolgono per un certo tempo le vette, poi le lasciano intravedere per pochi secondi  ed infine  le coprono nuovamente.
  Il rifugio  si trova sul versante italiano del massiccio del Monte Rosa a 3585 metri di altezza e la sua presenza segna il confine tra l’estensione delle rocce e l’inizio dei ghiacciai e più precisamente  è posto alla base del ghiacciaio Felik,  che  attraverseremo domani.
 Entriamo nel rifugio e come in tutti i rifugi,  l’ingresso porta ad uno stanzone che ha una  panca  nel mezzo e, alle pareti, grandi scaffali per depositare scarponi, sacche, picozze… e dove troviamo le pantofole, all’interno del rifugio  infatti non è consentito tenere gli scarponi.
 Vedendoci bagnati,  il gestore  del rifugio ci  indica di  mettere i  nostri vestiti sopra la stufa su cui è stato appeso un grande appendiabiti. Aprendo lo zaino,  mi accorgo che anche la giacca ed i pantaloni della tuta sono tutt’altro che asciutti e  cortesemente  mi viene imprestata  una bella tuta bianca. C’è parecchio vestiario  appeso sulla stufa,   ma questa sembra comunque funzionare a pieno regime e noi confidiamo  che per il giorno dopo  tutto sia asciutto.
 Andrea ed io saliamo al piano di sopra per prendere  possesso della nostra camera, mentre Alberto, dormirà nella  camera riservata alle guide. La nostra  è una stanza non molto grande contenente otto brande, quattro sopra e quattro sotto,  per nostra fortuna occupate per ora solo da due persone che sono sdraiate in basso. Con mio grande sollievo, noi possiamo prendere possesso della parte alta,  sopra mi sembra di respirare meglio. Se non viene più nessuno,  avremo tutto lo spazio  per disporre comodamente le varie cose  sulla branda libera a fianco della nostra.
 Dopo aver posato lo zaino e i bastoncini, scendiamo nella sala da pranzo;  io mi preoccupo di chiamare mia moglie come le avevo promesso ( “appena arrivi al rifugio fatti sentire !”). I telefonini di solito in montagna “non prendono”,  provo per scrupolo uscendo fuori dal rifugio ma non c’è campo, devo utilizzare il telefono del posto.
 Usciamo quindi per  dare un’occhiata intorno al rifugio, il tempo è migliorato, non piove più sembra arrivare  un po’ di sereno anche se a tratti nuvoloni bianchi  coprono tutto. A sud vediamo la valle di Gressoney che oramai è quasi tutta in ombra e sembra molto lontana. Alberto ci indica le creste dei due Lyskamm, la loro sagoma è nera e le loro pendici sono sommerse da metri di neve e ghiaccio.
 Comincia  a fare freddo, entriamo. Alberto ed Andrea si fermano a bere una birra e a fare quattro chiacchiere con il gestore del rifugio. La nostra guida lo conosce molto bene  visto tutte le volte che è venuto da queste parti !    Io invece non vedo l’ora di sistemare le mie cose con calma e di sdraiarmi qualche minuto sulla branda... devo svuotare lo zaino, dividere ciò che mi serve subito da quello che utilizzerò domani mattina, quello che dovrò portare, da quanto potrò lasciare in rifugio e recuperare al ritorno.  L’operazione è  importante e deve essere fatta la sera prima perché la mattina del giorno dopo la sveglia suonerà molto presto ed i tempi, almeno per me, sono sempre strettissimi e dimenticare qualcosa tipo i guanti o  il berretto sarebbe un grosso guaio.
 Arrivato a questo punto ogni volta regolarmente mi accorgo di  aver dimenticato qualcosa, in questo caso il frontalino. Ricordo che  in varie occasioni precedenti si era partiti con il buio ed inoltre se ci si sveglia di notte e si vuole andare in bagno è consuetudine non  accendere  la luce, ma usare la propria  pila. Tra l’altro i gabinetti sono fuori dal rifugio, ci sarà un po’ di illuminazione?

 
 Dopo avere sistemato vestiario, attrezzatura e vivande ed essermi sdraiato  un po’,  verso le sette, come stabilito, scendo per la cena. I miei due compagni sono già seduti e arriva subito la pasta; l’acqua e il vino si vanno  a prendere al banco. Seguirà l’arrosto con contorno ed un dolce, tutto nello stesso piatto.
 Mentre ceniamo parliamo un po’ di noi, delle nostre famiglie, delle nostre esperienze di montagna, Alberto che di cognome fa Silvestri (per questo che viene chiamato Silver), ci dà gli ultimi consigli: come procedere con il passo anche un po’ lento ma costante, come tenere la corda, che deve essere tesa per far capire a quello davanti come si sta procedendo, come impugnare la picozza…
  Poco dopo le nove saluto tutti e salgo in camera rinunciando volentieri a qualche giro di grappini, con il rischio di ritrovarmi al mattino dopo con un bel bruciore di stomaco. Domani sveglia alle quattro, colazione alle quattro e mezza e partenza alle cinque; riesco ad ottenere di non dover scendere a fare colazione con l’imbragatura già messa, come  mi era capitato di dover fare in altre occasioni.
 Sistemate le ultime cose, poco dopo le nove  vado a letto e mi infilo con la tuta dentro il sacco lenzuolo, obbligatorio ormai  in tutti i rifugi. Per esperienza so che dormirò ben poco, non riesco mai a dormire bene nei rifugi  sarà  per l’altitudine, sarà per la tensione cercando di immaginare quel che succederà il giorno dopo….e quindi mi organizzo per passare la notte con i miei pensieri:  ripasso la  giornata trascorsa, rifletto su come ho sistemato le mie cose nei vari sacchetti e dove li ho  posizionati, ci sarà il Sole indispensabile per fare belle fotografie di una grande giornata….
 Poco dopo le undici arriva in camera Andrea con la pila accesa, cerca di fare piano, ma lo sento benissimo visto che sono bello sveglio, ma non  dico nulla, non ho voglia di parlare. Noto che dal finestrino della nostra stanza filtra parecchia luce, non ci sarà bisogno della pila per andare in bagno.
 
 

    Il mattino dopo, l’ascensione

 Al mattino alle quattro,  all’ora stabilita, suona la sveglia di Andrea, naturalmente mi verrebbe voglia  di stare ancora un po’ a letto ma  la giornata è troppo importante e mi alzo subito, non c’è molto tempo e le cose da fare sono tante. Mi vesto, mi lavo il viso, sistemo le mie cose e scendo a far colazione, i miei compagni sono già seduti al tavolo ed hanno appena preso le brocche di tè, caffè e latte,  mi riempio la scodella di  caffè con poco latte, meglio non correre rischi in queste circostanze…
 Ci prepariamo per l’ascensione. Sono le cinque. Dopo aver messo l’imbragatura,  usciamo dal  rifugio;  l’aria è fredda ma sopportabile, il buio lascia a  poco a poco spazio alla luce. Ci mettiamo i ramponi, sistemiamo nella misura giusta i bastoncini,  Alberto srotola  la corda e ci leghiamo subito, visto che il ghiacciaio arriva fino al rifugio, si procede in cordata. Iniziamo l’ascensione al Lyskamm Occidentale.
 Siamo immersi in un ambiente eccezionale. Il nostro cammino procede tra montagne di neve e ghiaccio a cavallo tra l’Italia e la Svizzera e la cima a cui arriveremo è una guglia quasi a fianco del suo compagno il Lyskamm Orientale leggermente più alto.
 Le difficoltà della salita dipendono notevolmente dalle condizioni della neve. Ci saranno  alcuni tratti in cui percorreremo  creste molto affilate con la possibile presenza di ghiaccio, in altri tratti invece la pendenza  sarà notevole fino a raggiungere  i  40-45° , poi finalmente si arriverà alla cresta finale che è in lieve salita.
 
 
 Inizialmente ci dirigiamo verso  nord seguendo le tracce abbastanza  evidenti rimaste impresse sul ghiacciaio, è già passata un po’ di gente e poi incomincia a far chiaro.
 La prima parte del cammino non presenta particolari difficoltà la pendenza è scarsa,  il tracciato è abbastanza lineare, la neve è solida, si cammina bene.
 Procedendo la luce aumenta  di intensità, è quasi giorno, un rosa sfumato che poi tende sempre più al rosso colora l’orizzonte ed  i raggi del Sole illuminano prima piccoli zone  innevate più in alto, poi si estendono sempre più, a poco a poco si allargano scendendo verso di noi.    Siamo  ancora in  ombra ma,  tra poco saremo illuminati dal Sole.
 Procediamo in modo costante; cerco di tenere il passo dei miei due compagni che,  essendo più  giovani,  hanno più energie; ogni tanto ci fermiamo per qualche foto, la giornata è troppo bella per non essere immortalata!
 Troviamo la prima cresta, mettiamo via i bastoncini e prendiamo le picozze. La cresta è inizialmente abbastanza affilata,  ma c’è parecchia neve  solida ed i  ramponi tengono bene il sentiero, poi la pendenza si fa via via meno pronunciata ed il tratto  si conclude con un rilievo,  è la punta Felik. Poco dopo la via si biforca:  a destra si va al  Lyskamm,  a sinistra al Castore che è un altro bel  4000, però di minor impegno.
 Il sentiero innevato, dapprima piuttosto largo,  diventa ben presto estremamente affilato affrontando nel contempo alcuni piccoli saliscendi e poi si restringe sempre di più. In certi tratti  ci si sposta sul versante nord procedendo paralleli alle cornici quando la notevole pendenza e la loro esiguità  sconsigliano il passaggio sul filo di cresta.
 La difficoltà di questa ascensione può variare notevolmente non solo per le condizioni atmosferiche, ma  anche in funzione dell’innevamento. Se la neve è scarsa possono affiorare  le rocce,  lo strato ghiacciato può essere appena velato da una lieve spruzzatina  di neve,  con la presenza di molti passaggi   ghiacciati, la salita può diventare veramente pericolosa.
 Una volta superato un altro tratto di cresta  e ormai in prossimità dell’ultimo  versante,  si affronta una rampa nevosa che,  innalzandosi di poco,  immette sul pendio terminale.
 Guardando verso il basso,  la notevole pendenza dei due versanti è impressionante,  può arrivare anche a 55°!
Si percorre la  cresta finale facendo ben attenzione a mantenere la necessaria distanza dalle cornici ben coperte di neve e si  raggiunge  infine la vetta! 
 Sono passate da poco le  otto e mezza e siamo  arriviamo   a 4481 metri di altezza, possiamo stringerci la mano,  rilassarci e fare le fotografie di rito, in quel momento la luminosità è buona e per fortuna non c’è vento.
 Il panorama circostante è come prevedibile grandioso e lo sguardo si perde tra centinaia di monti tra cui decine di 4000. Più in basso a nord si estende  una grande lingua di ghiaccio che corre per chilometri nella grande vallata svizzera sottostante, a sud si intravedono le valli di Gressoney e di Ayas.
 Incontriamo altre persone che raggiungono la cima. Una coppia di tedeschi si ferma poco distante da noi, scambiamo qualche parole in inglese e ci dicono che proseguiranno la traversata facendo anche l’altro Lyskamm fino al rifugio Gnifetti, do un’occhiata a quel  percorso, una  impervia striscia di rocce scure   dividono i due monti, non  invidio proprio  quei ragazzi ! Ma auguriamo loro in bocca al lupo.
 Lassù in cima non ci fermiamo molto, la discesa sul ghiacciaio  fino al rifugio e poi ancora il sentiero fino all’arrivo degli impianti,  è  un percorso  lungo ed il tempo può cambiare; mangiamo qualcosa e poi via, si ritorna.
 Scendiamo  rifacendo la stessa strada fatta nel salire, si inverte però l’ordine con cui eravamo posizionati: in cordata  scendo  per   primo, segue poi Andrea ed infine la guida, che ha  il compito di fare sicurezza nel caso uno di noi due scivoli.

 Nella discesa dobbiamo anche  usare tecniche diverse,  per i pendii più ripidi  si scende con la faccia rivolta verso la montagna, mentre nei tratti con minor pendenza scendiamo “faccia a valle”,  puntando bene i talloni in modo di fare molta presa sulla neve. Bisogna poi stare attenti ad alcune zone  in cui ci può essere ghiaccio vivo perché in questo caso neanche i ramponi  consentono  una tenuta sicura.
 Superate le creste e le parti più ripide e persi qualche centinaio di metri di quota,  si attraversa l’area relativamente più pianeggiante che ci riunisce  alla  quasi sempre battutissima traccia lasciata dagli escursionisti proveniente dal Castore. Alberto ci avverte che data  l’ora, è quasi mezzogiorno,  la neve comincia a sciogliersi  e la zona può essere piuttosto crepacciata,  conviene quindi procedere stando ad un’adeguata distanza uno dall’altro.
 Ci dirigiamo  ora  direttamente alla base del ghiacciaio, ancora un tratto relativamente breve e piuttosto pianeggiante e poi ecco il  rifugio.
 Appena arrivati ci complimentiamo, facciamo le ultime fotografie e poi finalmente possiamo slegarci e togliere l’imbragatura. Il tanto temuto Lyskamm è stato conquistato !

1 commento:

  1. Grazie per averci fatto sognare con il Tuo bellissimo racconto. Lillina ed Antonio - Palermo

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