sabato 5 gennaio 2013

Politica, mafia, statuto...
Riflessioni di Salvatore Lanzafame


Nel 1860 venne chiesto alla Sicilia, che già vantava e applicava una propria costituzione dal 1812, di essere annessa al Regno d’Italia tramite un plebiscito svoltosi nelle seguenti modalità: i cittadini siciliani si recarono alle urne dove, davanti ad un tavolo su cui incombeva la presenza di due carabinieri piemontesi armati di fucile (in un periodo in cui l’isola era stata straziata con carneficine di dissidenti), dovettero scegliere tra due fogli su cui era scritto “SI” o “NO”. Sempre davanti i due gendarmi dovettero inserirlo in una delle due urne relativamente alla preferenza che intendevano dare. Il risultato di queste votazioni vide sul 99,8% dei foglietti la parola “SI”, in favore all'annessione al Regno d’Italia con capitale Torino.
Dall’unificazione derivò una crisi economica che investì i territori del sud con un conseguente depauperamento di risorse e riserve di denaro accompagnato da rivolte ed emigrazione di massa. I feudatari dell’isola, in tacito accordo con il governo centrale, ebbero dunque l’occasione per recuperare il potere perduto nel periodo borbonico controllando e sedando il malcontento civile per mezzo dei campieri (‘picciotti’ senza scrupoli che uccidevano chiunque andasse contro i loro ordini) a cui venne affidato il controllo delle terre.
I campieri iniziarono anche ad arricchirsi esigendo una parte del ricavato dei propri padroni. Si crearono così le basi per un efficace sodalizio con cui campieri, latifondisti/nobili e Stato centrale potevano fare affari, controllare e ottenere gratuitamente i sacrifici del popolo, indirizzato sempre più verso la miseria e un abbandono totale da parte delle istituzioni.
La Sicilia, praticamente colonizzata, tornò di nuovo a desiderare l’indipendenza. La volontà generale fu così forte da produrre, durante la seconda guerra mondiale, un vero e proprio Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS) e un Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia (EVIS) di cui fecero parte studenti, operai ed intellettuali.
L’operato di questi due movimenti, terminata la grande guerra, obbligò il re della penisola ad accettare le richieste di un intero popolo stanco di obbedire a capo chino (l’anno dopo il MIS avrebbe ricevuto in Sicilia più di 170.000 voti.) Alla fineci si accontentò della semplice Autonomia, vale a dire di un’indipendenza vera e propria ma limitata dalla condivisione con il governo italiano della politica estera e della difesa. Autonomia riconosciuta per legge con uno Statuto Speciale Autonomo nato il 15 maggio ’46 e successivamente inserito nella costituzione nel 1948.
Questa forma di indipendenza limitata esiste ancora oggi, malgrado quasi nessuno ne sia a conoscenza e malgrado non sia stata mai applicata. Ma perché nessuno ne è a conoscenza?
Lo Stato, al contrario di quanto voleva lo Statuto, doveva continuare ad arricchirsi. Qui i campieri poterono rendere il favore a chi aveva concesso loro di impadronirsi del territorio aprendo un’infinita serie di accordi sottobanco, insabbiamenti, favori, denaro, omicidi, morte. Nelle istituzioni, fino ai giorni nostri.
Coercizioni e illegalità vennero sempre premiate con favori. La Sicilia continuava ad essere una colonia che arricchiva lo Stato con il suo popolo, considerato come elemosinatore quando invece aveva il diritto e lo strumento per poter rinascere e per riprendersi la perduta e martoriata dignità. Uno strumento ben celato.
Tangenti, estorsioni, associazione mafiosa, non bastarono per arrestare i criminali, liberi per prescrizione o immunità parlamentare; criminali, ancora una volta, difesi dalla legge italiana. Ma Perché? Perché lo Stato difende, fa arricchire e premia i criminali? Perché li mette in Parlamento, a votare le leggi, e a capo della Regione Siciliana? Perché un criminale dev’essere pagato per dire al popolo cosa sia legale?
Tutto appare decisamente più chiaro se, finalmente, ci vengono mostrati alcuni articoli dello Statuto:
Art.14, la Sicilia ha diritto di legislazione esclusiva in quasi tutte le materie; Art.37, le imprese che lavorano eguadagnano in territorio siciliano sono obbligate a pagare una tassa alla Regione; Art.38, lo Stato deve un contributoannuale di solidarietà alla Sicilia per il disavanzo strutturale in cui l’isola è piombata dopo l’Unità.
Allora, solo dopo aver letto per la prima volta quello che c’è scritto davvero nello Statuto e dopo aver studiato un attimo la storia di tutti i politici criminali che ci hanno governato e che alla prima occasione ci hanno svenduto al miglior offerente, abbandonando anche i loro storici amici mafiosi a cui hanno voltato le spalle adesso che non servono più, si capirà che il problema non è il nostro Statuto/Costituzione per cui i nostri avi hanno combattuto al fine di lasciarci uno strumento di sana ricchezza, ma che, forse, la colpa è di un’indegna classe politica che deve essere completamente sostituita, ma che prima dovrà restituire alla Sicilia tutti i beni che le ha sottratto.

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