domenica 23 dicembre 2012

pensare

by Giulia Greco
collage by Pippo Zimmardi

Quando ci si chiede quale sia il peso da dare alla parola “pensare” subentrano varie questioni apparentemente distanti tra loro, ma strettamente ed irrimediabilmente legate. In genere, ognuno dà valore differente a questa presunta attività che, banalizzandola, sembra rientrare in ogni manovra di vita quotidiana. In qualche modo è ciò che io stessa mi propongo di dire, ossia porre un qualche legame tra la vita e la riflessione sulla vita, tra il corpo e lo spirito, non intendendo con questi termini un effettivo dislivello tra i due ambiti, che quasi apparirebbe quale retaggio di un cartesianesimo ormai marcito, ma, al contrario, un’interpunzione netta, un reciproco implicarsi, un’essenza unica, sotto diversi aspetti.
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Ci sono due diversi modi di intendere la vita, l’una immediata, l’altra riflessa, pensata, surrogata forse, più completa per altro verso. Il che non implica scissioni nette, nature disgiunte, quanto piuttosto “dis-unite”. Ossia parte della medesima essenza, del medesimo riferimento, della stessa cosa insomma; eppur opposte, nettamente e vicendevolmente contraddicentesi.
In realtà prendo spunto da ciò che vedo, non mi appello ad altro se non ai fatti – strano a dirsi, per una persona come me così morbosamente tendente all’astrazione – alla vita che vedo affaccendarsi sotto i miei occhi attenti, che non mi sfugge e raccolgo.
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L’uomo riflessivo non ha capacità, né talenti innati, né intelligenze particolari, tali da giustificarne una differenza “ontologica” con l’uomo immediato.
Tutti viviamo nei fatti, in stati di cose apparecchiati con elementi contingenti che si uniscono a formare una trama ben chiara e definita, vuoi per caso, vuoi per scelta.
In questo implicarsi reciproco di eventi, ed istanti, e crisi, si prospettano due estreme tendenze, tra le quali – è chiaro – vi sono contenute tutte le sfumature possibili, tante quante sono le vite vissute, presenti, future. In questi punti-limite, formuliamo però i modelli universali, universalizzabili: da un lato, lo “schema” dell’uomo immediato, suscettibile al fatto, all’evento quotidiano, e che si ferma a questo, che si acquieta sul momento e non si propone di spiegarlo ulteriormente: accetta ciò che è, lo affronta con serenità, non cristallizza, né astrae; tende a non legare il fatto ad altri precedentemente accaduti, non vi trova un senso unitario, né vuole darlo. E’ l’uomo che trova la moglie con un altro, e perde le staffe, e magari uccide il rivale, o distrugge due piatti, ed insulterà la consorte in pubblica piazza, e non penserà mai ad altro se non al “fatto” che sua moglie è una puttana e una svergognata.
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Dall’altro, l’uomo riflessivo vive e subisce il corso del mondo in modo esteriormente identico: si ritrova in situazioni impreviste, momenti scoordinati e indipendenti dalla sua propria volontà: si trova a dover fare i conti con la stupidità banale delle piccole scelte giornaliere, a comprare il pane, ad essere derubato, a pulire per terra e i bagni, a essere insultato per strada da macchine strombettanti e volgari, a dover pagare il dazio del quieto vivere e a tagliarsi i capelli. Ma l’uomo riflessivo sa compiere un attenta selezione dei fatti: riconosce il peso dei giorni e sa che c’è una differenza abissale tra lo scambiare quattro chiacchiere con la portinaia e discutere con lei dei suoi tradimenti consueti.
L’uomo riflessivo rimane a fissare il corpo suo traditore avvolto nell’altro odioso, e, seppur infiammato da rabbia iniziale – impossibile credere ad un controllo totale della mente sul corpo – non vede il fatto, non lo vede soltanto nelle sue vesti più commerciali, più spicciole, più appariscenti. L’uomo riflessivo là dentro vede se stesso, e vede i suoi errori, e vede tutto quello che avrebbe dovuto capire già da anni, vede che se c’è qualcuno svergognato qui è proprio lui, vede la sua intera vita aprirsi in quello squarcio sul letto.
L’uomo riflessivo crea costellazioni, un universo di relazioni, e pensieri, e credenze; ma non fa nulla di speciale, agisce e si muove come ognuno nel suo piccolo fa: scegliendo una casa, e una donna, e un cane, e un lavoro, e quindi crea le sue relazioni, collegamenti tra te stesso e il mondo che ha scelto e che costruisce ogni momento, scegliendo. Ciò che fa la differenza, è quanto vasto è il mondo in cui naviga e che percorre. E non basta: quanto sensate sono le reciproche relazioni, intersezioni tra i fatti, quanto senso è dato ad ogni frangente, sempre tenendo conto del tutto di cui fa parte, in un reciproco appartenersi, dell’istante più fugace che è perfettamente armonizzato nel sistema che dentro di sé ognuno, in misura diversa, ha edificato.

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