domenica 9 dicembre 2012

Il dono

di Francesco Scrima

 L’avrebbero fatto quella sera.
 Lui aveva detto così, e non c’era motivo per non credergli.
 Valentina gli aveva sempre creduto, fin dalla prima volta in cui si erano scambiati i numeri di cellulare, e lui le aveva detto che le avrebbe inviato un sms a mezzanotte. E lo aveva fatto. Luca lo aveva fatto davvero, e lei aveva tenuto il cellulare accanto a sé, a letto, contro il volere dei genitori, con la vibrazione inserita, solo per leggere quello che le avrebbe scritto. E, dopo, il suo cuore si era messo a battere come quella volta ch’era nato il suo fratellino, ma era diverso, lo sapeva ch’era diverso, anche se non sapeva bene in che senso lo fosse. E naturalmente gli aveva risposto subito, e poi non aveva dormito fino al mattino seguente, e a scuola era frastornata, ma vigile, perché sperava di vederlo all’uscita.


   Insomma, si erano messi insieme.
   Valentina ricordava l’imbarazzo del suo primo bacio, ma a Luca non aveva detto che lui era il suo primo ragazzo, e che lei, a quattordici anni già compiuti, non aveva mai baciato nessuno tranne il fratellino, nato dodici anni dopo di lei, il piccolo Angelino, di cui si sentiva quasi la mamma.
   Che goffa ch’era stata nel baciare Luca. Tutta la mattina, in classe, aveva pensato a come avrebbe dovuto tenere le labbra: chiuse? leggermente aperte? E gli occhi? I suoi grossi occhi azzurri? Mai e poi mai avrebbe chiesto consiglio a Danila, quella stupida, che poi l’avrebbe raccontato a tutte le compagne. E sai le risate! (Eppure, era certa che tutte loro ne sapevano quanto lei…).
   A cose fatte, si era sentita mortificata per la sua imbranataggine, ma anche un po’ indispettita: perché Luca, coi suoi quindici anni, sembrava così sicuro in quelle cose? Quante ne aveva baciate prima di lei?
   Ma poi si era subito dimenticata ed il suo broncio era durato sì e no due minuti, perché Luca le piaceva, era carino, la faceva sentire una ragazza più grande. E diceva cose intelligenti, mica idiozie come quei cretini dei suoi compagni, che la prendevano sempre in giro perché studiava con passione e le piacevano i poeti, quelli che scrivevano poesie d’amore a donne che nemmeno conoscevano. Che forza, pensava, inventarsi qualcuno da amare!

   Lei ci aveva tentato, più volte, ma le riusciva difficile pensare in astratto, ed allora rivolgeva il suo pensiero, insieme a parole vaganti nella mente, alle foto di giovani attori che vedeva sulle copertine delle riviste. Ma anche così, non è che fosse proprio ciò che voleva.
   Però, adesso che c’era Luca nella sua vita, aveva finalmente qualcuno a cui pensare, qualcuno a cui dire delle frasi carine, magari quelle dei romanzi che leggeva sua madre, ogni sera, e che lei sfogliava di nascosto, temendo fossero inadatti alla sua età.
   In verità, non le sembravano così scandalosi. Sempre meglio di quelle stupide storie che l’insegnante d’Italiano la obbligava a leggere – tutte piene di cose moderne, come la droga, la mafia o camorra che fosse, il razzismo eccetera. A Valentina non piaceva leggere di cose che erano già attorno a lei, in quel mondo così brutto. Molto meglio le storie d’amore, quelle inventate ma vere, se vissute come tali.
   Un giorno, sul comodino della madre, aveva sbirciato una copertina che l’aveva attratta: si vedeva una donna elegante, in primo piano, con un ampio cappello di seta ed un vestito bianco, stretto ai fianchi e largo sotto come una campana. La donna reggeva un ombrellino da sole con una mano e, con l’altra, pareva salutare qualcuno che non si vedeva, come fosse dall’altra parte della copertina, dalla parte di chi la guarda. Come se salutasse proprio lei, Valentina.
   Il libro s’intitolava La sonata a Kreutzer, di un certo Tolstoj, ed aveva poche pagine, non quante gli altri libri che sua madre in genere leggeva, e che a Valentina pareva incredibile potessero essere stati scritti da una persona sola, grossi com’erano.
   L’aveva aperto a caso, a letto, ed aveva capito che lì, dentro quelle pagine odorose, viveva una storia d’amore, ma intensa, bellissima; una storia di musica e passione, come sarebbe piaciuto leggere a lei. perché la professoressa non glieli suggeriva, i libri così? E perché neanche sua madre a lei, la sua giovane figlia che amava leggere?
   Da quando stava con Luca, ormai tre mesi – erano già tre, come, nel suo cassetto segreto, quello accanto al letto, i regalini del “compimese” - , era cominciata la sua storia d’amore, e lei voleva che fosse come quella dei romanzi, non una qualsiasi, non tanto per dire che ci aveva un ragazzo come l’avevano le sue compagne.
   Valentina sentiva la vita in lei con un’infinta intensità e complessità, con un di più di partecipazione, come se da ogni suo momento dipendesse la sorte dell’universo. E sofferenza e gioia erano davvero sofferenza e gioia, non passeggeri stati d’animo.
   Con Luca non riusciva a vedersi spesso: a scuola, prima e dopo le lezioni, giusto il tempo del percorso verso casa sua (lui abitava in periferia, lei in centro, ma l’accompagnava fino all’ultimo isolato, in zona di sicurezza, per non rischiare di farsi vedere dai suoi genitori); qualche raro pomeriggio in cui potevano far coincidere le partite di calcetto di lui e le lezioni di danza classica di lei; il sabato sera, se qualcuno degli amici comuni organizzava una festa. Mai la domenica (uffa! le gite con la famiglia…), mai di sera (il coprifuoco del sabato scattava per Valentina alle 22, al massimo alle 22.30). Eppure, quelle poche volte bastavano ad entrambi.
   Se erano con altri, si divertivano a lanciarsi sguardi, a darsi gesti d’intesa, a sillabare frasi d’amore nel frastuono delle musiche o dei giochi collettivi.
   Ma il bello era stare da soli. Allora passeggiavano a lungo, tenendosi per mano o allacciati per i fianchi, si baciavano ogni volta che potevano e poi… poi, quella volta, a casa di Mario, il cugino di Luca, lui l’aveva stretta, ma con delicatezza, e lei aveva sentito il suo respiro mai così vicino, così forte, e le sue mani erano scese lungo il collo, sui piccoli seni, e più in basso, e infine Valentina, a cui il sangue si era messo a correre all’impazzata, aveva avvertito il calore di Luca come un fuoco che i jeans non riuscivano a trattenere.
   Quella volta, erano tornati a casa in silenzio, nella macchina del papà di qualcuno, e sul suo letto Valentina aveva tremato a lungo e, naturalmente, non aveva potuto dormire.
   Che significava quel fuoco? Cos’erano la corsa del sangue, il respiro affannoso di Luca, l’irrigidirsi dei suoi capezzoli, che da qualche mese si erano fatti più tondi – piccoli fiori di colline appena nate?
   Il suo corpo si stava trasformando, Valentina lo vedeva, e capiva che stava accadendo dal giorno in cui aveva perso il primo sangue, ma ciò che la stupiva di più era la percezione del suo mutare dentro, come se ogni fibra del suo essere – del suo divenire donna – si espandesse, assumendo una forma nuova, più forte, più consapevole.
   Tuttavia la sua vita, in fondo, scorreva normale. La vita d’un’adolescente: la scuola, la danza, le cene con i genitori, i giochi col fratellino, le amiche. E Luca, che di tutte quelle attività e persone, era il coronamento ed il fine. Crescere per Luca, con Luca, per mezzo di Luca.
   Ci pensava, Valentina, al contatto del suo corpo, a quella sera di alcune settimane prima. Le sarebbe piaciuto risentire l’emozione sulla pelle. I baci non le bastavano più.
   Quando le compagne, a scuola, durante l’intervallo o in assenza degli insegnanti, parlavano delle loro esperienze, si avventuravano in racconti erotici a dir poco fantasiosi.
   Valentina le stava a sentire, non intervenendo mai, e si era fatta un’idea tutta sua di quello che poteva accadere fra un ragazzo ed una ragazza, e quell’idea non era sicura se le piacesse o meno, se valesse la pena darle una forma, alla sua età. Se fosse un passaggio obbligato, o un capriccio pericoloso, o cosa. A lei sarebbe piaciuto che qualcuno rispondesse soltanto ad una domanda: “farlo” – farlo con Luca -  avrebbe reso il loro amore qualcosa di più grande?
   Ecco la vera questione. Ma a chi chiederlo? A sua madre, all’insegnante di Disegno, l’unica con cui si sentiva in sintonia, alle amiche? Macché! Nessuno, proprio nessuno, neppure sua madre, avrebbe potuto rispondere a quel tipo di domanda. Ognuno avrebbe dato solo la risposta buona per sé, utile per sé.
   Eppure, era tutto lì il senso di un rapporto d’amore. Che diamine, pensava allora, perché non sono come le altre? Perché devo farla così difficile? Che razza d’idiota che sono…!
   Luca, fra l’altro, non ci aveva mai tentato. Neppure con le parole, neppure con allusioni. Ne avevano parlato, questo sì, in un giorno di libera uscita dalle rispettive famiglie, ma come se si parlasse di altre due persone, non di una ragazza, Valentina, dai morbidi capelli colore del miele, non di lui – capelli scurissimi e crespi.
   E allora? perché ci pensava sempre? Perché la turbavano le scene di sesso che vedeva nei film, al cinema o in TV, o che leggeva – ma più raramente – sui romanzi che rubava di nascosto alla madre? Non era una cosa naturale quel prendersi  fra uomo e donna? faceva o no parte dell’amore? e perché i suoi non ne parlavano mai?
   Valentina aveva 14 anni, va bene, ma non riusciva a comprendere il motivo per cui non si potesse parlare, in famiglia o a scuola con gli insegnanti, di qualcosa che faceva parte della vita; e meno che mai le piacevano gli atteggiamenti delle compagne, che riducevano quell’argomento ad un gioco da esibire per sentirsi grandi ed esperte, ovvero da nascondere e magari vergognarsene.
   Ecco perché, al compimento del terzo mese con Luca, decise che non le sarebbe bastato lo scambio dei regalini; decise che ne avrebbe parlato con lui. Voleva sapere che ne pensasse. Era troppo importante, per Valentina, capire se decidere di farlo o no c’entrava con il loro volersi bene, con le promesse ed i giuramenti che si erano scambiati fin dalla prima volta, e poi ogni giorno, con reciproca sincerità.
   E gliene parlò davvero, perché Valentina, timida ed aggraziata, era un tipo volitivo, e non cambiava idea con facilità.
   Luca stette ad ascoltarla, serio ed incantato dal fare deciso di quella fanciulla, della sua dolce fanciulla, e poi disse che anche lui la pensava alla stessa maniera e che non ci sarebbe stato niente di male a farlo, se davvero loro due si volevano bene.
   Così qualche giorno dopo, le comunicò, all’uscita da scuola, che l’avrebbero fatto quella sera, ed entrambi tornarono a casa sopra una nuvola leggere, come due aquiloni spinti dallo stesso vento.
   Si sarebbero visti alla festa d’un amico comune – era un sabato, quel giorno – e, da lì, sarebbero sgattaiolati via alla prima occasione buona. Non era difficile, in situazioni del genere, una fuga senza testimoni: bastava un giro di “lento”, le luci che si spegnevano, le coppiette intente a ballare o ad altro…
   E poi? Luca le aveva detto che i suoi sarebbero usciti ad una certa ora, che a casa sua non ci sarebbe stato nessuno e che il letto della sua stanza (non la conosceva, Valentina, la stanza di Luca; nessuno dei due aveva mai varcato la soglia delle reciproche case) era grande abbastanza per loro.
   Alla parola “letto” lei aveva avuto un lieve sobbalzo all’altezza del cuore, un piccolo salto che, per un attimo, l’aveva fatta esitare. Ma era stata questione di poco, il tempo di cercare gli occhi di Luca e di scoprirli luminosi e fermi, ed il suo animo si era acquietato, la bocca aperta ad un sorriso ch’era di assenso e di complicità.
   Tutto andò come previsto.

   La festa promiscua, le musiche assordanti, le risate scomposte di amici ed amiche, i grandi a sorvegliare da lontano: tutto scorreva come sempre, tranne che, nella testa di Valentina e Luca, c’era posto solo per “quella cosa”. avevano paura, ed erano felici – come stessero per sposarsi.
   L’ingresso a casa di Luca fu la sortita di due giovani eroi nell’accampamento nemico. Bisognava non fare troppo rumore (i vicini, ci sono sempre degli anziani, curiosi vicini), non accendere molte luci (non quelle delle finestre che davano sulla strada principale), non parlare ad alta voce. Ed il cuore? Si sarebbero uditi i battiti dei loro cuori?
   Valentina sentiva l’emozione della conquista.
   Il pensiero più forte, nell’interminabile pomeriggio che aveva preceduto il loro incontro, si era proiettato soltanto sull’istante fatidico: avrebbe provato dolore? e non consisteva proprio in quel dolore, se ci fosse stato, il suggello del suo dono, la straordinarietà della prima volta?
   Ed ora che si trovava vicina a quell’istante pensato e temuto e desiderato, ora non tremava più, non aveva più paura.
   Stava entrando, davvero, nel suo romanzo d’amore. Stava per entrare nel mondo dei grandi. Stava per diventare donna.

2 commenti:

  1. Da un po' di tempo ho capito davvero cosa significa entrare dentro le storie degli altri,viverci dentro in modo così intenso da non potersele più strappare di dosso.Ho capito cosa significa vivere questi meravigliosi "doni" in modo così forte da far sì che questi diventino parte della tua essenza,la pelle della tua anima .Quando leggi un racconto come questo la prima volta impari ad amarlo,a farlo abitare dentro di te.Quando lo leggi la seconda volta, e questo sembra esploderti dentro più forte di prima,allora quell'insieme di parole custodite nel cuore non può essere altro che un'opera d'arte,l'alba più dolce,soave,la canzone che non puoi più dimenticare.Valentina sognava questo:vivere in una storia,essere parte di qualcuno, scorrergli nelle vene;in questo modo lei dona ogni particella di sé a Luca.Luca è la canzone preferita di Valentina,è colui che le ha regalato qualcosa in più di una gonna ampia.Luca e Valentina sono pagine dello stesso libro,quello più bello e dolce,quello che non potrai mai più dimenticare.Valentina e Luca sono stati un breve lungo viaggio,che per me dura tutt'ora!Ho intrapreso tanti viaggi di questo genere,viaggi che non possono più lasciarmi che continuo a vivere,e continuerò a vivere sempre.Grazie.
    Giulia

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Giulia, c'è un antro nascosto nella parte più profonda di noi che è come uno scrigno. In esso si depositano soltanto le cose belle, quelle che non "servono" a nulla, quelle che non si possono spendere nel mondo, quelle che si nascondono ai più. Sono esse, però, che ci permettono di vivere nonostante tutto. Un abbraccio.
      Francesco

      Elimina

Questo blog consente a chiunque di lasciare commenti. Si invitano però gli autori a lasciare commenti firmati.
Grazie