domenica 14 ottobre 2012

Un lettore de "La Repubblica" risponde a Merlo




Pubblichiamo a seguire una "lettera al direttore" (de "La Repubblica") che, crediamo, non abbia ancora trovato spazio sul quotidiano forse per questioni di lunghezza. Si tratta di una lettera scritta da un lettore in seguito alla pubblicazione, avvenuta il 6 ottobre, di
un articolo di Francesco Merlo in cui, accanto a una descrizione - seppur a volte caricaturale - della politica siciliana non molto lontana dalla realtà, si prospettano delle soluzioni che a molti son sembrate prive di ogni logicità.

Gentilissimo Direttore,
                             sono davvero sbalordito e disturbato per la pubblicazione su Repubblica dell’articolo di Merlo in cui si chiede l’abolizione dell’Autonomia regionale siciliana. Non mi sarei mai aspettato su un quotidiano rigoroso come il vostro questo cedimento a un modo di affrontare le cose molto superficiale, demagogico e paradossale.


     Innanzitutto la premessa. Merlo si fa interprete di un profondo scoramento di tutti noi siciliani per le condizioni in cui ci troviamo dopo cinquant’anni di Autonomia speciale ma indica una soluzione suicida: liberiamoci della Regione (se non ora quando?!). Bene, a seguire questo schema di ragionamento si potrebbe dire lo stesso delle regioni a statuto normale, vedi Calabria, Campania, Lazio ecc. che non sembrano aver dato prove migliori. Perché solo la Sicilia? Se vale il teorema di Merlo, allora aboliamo le regioni, tutte le regioni, fonte di sprechi da nord a sud.
   Sarà poi un caso se nel sud le conseguenze sono drammatiche e, dopo 150 anni di unità, la distanza tra il nord del Paese e il meridione sembra la stessa se non addirittura peggiorata? Bene, seguendo Merlo, dovremmo dire: aboliamo l’unità d’Italia!
   Insisto nel portare alle estreme conseguenze il ragionamento di Merlo. Se, pure dopo i disastri della monarchia e del fascismo, sessant’anni di democrazia ci consegnano questa Italia, con questo parlamento, questi eletti, il bunga bunga e la crisi irrisolta al nord e al sud, allora aboliamo anche la democrazia!
 E’ evidente che seguendo un modo di ragionare così approssimativo e paradossale si corre il rischio di alimentare le peggiori suggestioni populiste e non si favorisce la crescita di una corretta e attenta critica civile.
                          Merlo, tuttavia, non è nuovo a exploit di questo tipo. Sempre sulle pagine del suo giornale e sempre in nome dell’amore che porta per questa terra meravigliosa, l’anno scorso propose di togliere i più  noti monumenti dai piccoli musei siciliani (la venere di Morgantina ad Aidone, l’auriga di Mozia, l’efebo danzante di Mazara del Vallo, ecc) per concentrarli in una struttura centralizzata (a Roma? A Parigi? Al Paul Getty Museum?) dove sarebbe stato possibile farli fruire a decine di migliaia di persone.
 Personalmente penso che un simile modello consumistico, da Disneyland dell’arte, sia impraticabile in un paese come il nostro, dove ogni borgo offre un’opera d’arte significativa. Penso, per di più, che andare a Mozia per vedere l’auriga o a Mazara per vedere l’efebo offra l’occasione di visitare posti che offrono sensazioni, colori, sapori e vedute che è difficile concentrare in un museo. Questo legame col territorio, per altro, favorisce la crescita culturale nella popolazione e la consapevolezza del valore di certe pietre, anche per chi fa il ristoratore, il contadino o il tassinaro e non è professore d’università. Qui è il nodo della questione: come far crescere la responsabilità di governati e governanti.
                           Colgo nei teoremi di Merlo, invece, un retrogusto di supponenza elitaria e un insopportabile pregiudizio antisiciliano, al di là del dichiarato amore per la Sicilia, perché alla fine del suo ragionamento c’è sempre un potere centrale che dovrebbe sostituirsi a questi spreconi incapaci. Cosa c’è infatti dopo la Regione? Solo e soltanto una struttura centralistica, come per il museo.
                     E’ una idea, ma è l’idea infantile che ci sia un buon papà che saprà gestire le cose meglio dei ragazzini pasticcioni. E’ la premessa di una cultura autoritaria. E’ la stessa idea di Repubblica? Abbiamo già chiuso il capitolo del Federalismo?
 Se è così ne prendo atto, ma siete sicuri che la struttura centralistica che dovrebbe commissariare la Sicilia abbia le carte in regola? Dagli scandali nazionali (che tutta questa discussione su comuni province e regioni potrebbe far dimenticare), dalla vergogna di un governo delle cose sempre più monopolistico e incontrollabile e i cui costi ricadono su di noi in modo implacabile col sistema delle tariffe amministrate, non si direbbe proprio.
                        Capisco allora che c’è un problema più serio: i modelli di centralismo nazionale stanno crollando mostrandosi incapaci di governare nei tempi nuovi. C’è una resistenza a immaginare forme di governo che responsabilizzino e rispettino le popolazioni locali. Le caste cresciute all’ombra del potere centrale (e questo sono state le classi dirigenti siciliane fino ad ora) sono in fibrillazione e reagiscono: la colpa è dell’Europa, o no, la colpa è dei comuni, no è delle province, ma quando mai la colpa è delle regioni, della Sicilia in primis.
Io sono convinto, invece, (ne ho pure fatto un libro) che la direzione da prendere sia quella del federalismo spinto, anche per aiutare la crescita di una nuova Europa che è impedita proprio da questi rigurgiti di centralismo nazionale.
                         Vogliamo discutere seriamente di questo? Cordialmente
                                                                                                                   
                                                                           Roberto Tagliavia
Palermo, 8 ottobre 2012

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