martedì 13 dicembre 2011

Il paese dell'accoglienza


di Raimondo Augello

Periferia torinese, alcuni giorni fa; una ragazza sedicenne racconta di essere stata violentata da due zingari, dando il via ad una spedizione punitiva di inaudite modalità e proporzioni che scatta nottetempo . A poco serve che subito dopo la presunta vittima racconti di essersi inventata tutto: soltanto l’intervento delle forze dell’ordine riesce ad evitare il peggio, dissuadendo più di un centinaio di facinorosi che brandiscono spranghe e coltelli e si sono lanciati ad una indegna caccia allo straniero, mentre i vigili del fuoco provvedono a spegnere le fiamme che alte si levano dal campo Rom.

In uno scenario di panico e desolazione rimangono le macerie fumanti, quelle delle case, in cui i  Rom hanno perso tutto, anche gli scarsi guadagni delle elemosine gelosamente custoditi, e quelle dell’anima. Un paio di giustizieri della notte vengono fermati; le indagini si orientano nell’ambito dei gruppi ultras, di cui parecchi punitori pare facessero parte. Il procuratore Gian Carlo Caselli parla di un’azione di “chiara matrice razzista”, le cui modalità, d’altro canto, ricordano da vicino quelle che segnarono le gesta del famigerato Ku Klux Klan.
Ciò che qui ci preme, tuttavia, è analizzare quale risonanza questi fatti abbiano avuto nell’informazione e comprendere se quanto accaduto costituisca un episodio isolato di follia collettiva consumato sullo sfondo di un paese civile, o se piuttosto si iscriva nel contesto di una società che ha perduto la direttrice guida di certi valori verso cui potere orientare le proprie azioni. La condanna da parte delle forze politiche e degli organi di informazione è stata naturalmente unanime. Ma tra il coro di disapprovazione emerge qualche “distinguo” che denuncia sottotraccia la presenza di alcune sfumature. Taluni telegiornali, ad esempio, espressa la scontata riprovazione, hanno voluto sottolineare la natura “accogliente” della città di Torino, relegando dunque quanto accaduto ad una patologica manifestazione avulsa dal tessuto sociale e culturale entro cui essa ha trovato espressione. “Excusatio non petita, accusatio manifesta”, dicevano i Latini. Messe da parte tutte le perplessità sulla presunta “accoglienza” di una città nella quale sino agli anni del boom economico era cosa ordinaria leggere per strada i cartelli con scritto “non si affitta a Meridionali”, e di una regione che ha saputo esprimere il meglio di sé investendo della propria presidenza il leghista Cota, è il caso di concentrare la nostra attenzione  sul quesito che ci siamo posti in precedenza, cioè se si tratta di un fatto episodico oppure no. La risposta purtroppo è no. Tutti ricordano come alcuni anni addietro a Novi Ligure, dopo l’efferato delitto di Erika, l’intera cittadinanza era insorta contro gli immigrati, spinta dalle forvianti parole della ragazza che aveva accusato del massacro alcuni albanesi. E che dire del delitto di Erba, dove si verificò la stessa cosa, stavolta a danno degli Islamici? Pensate, due energumeni locali che sgozzano, tra gli altri, un bimbo (tunisino) e l’intera collettività che insorge “pre-ventivamente” e “pre-giudizialmente” contro gli Islamici. Ci sarebbe da ridere, se non  ci fosse da piangere! C’è comunque di che riflettere.
Naturalmente qui sorvoliamo sui riti lustrali delle sacre aree padane in predicato di ospitare mosche, officiati da improvvisati sacerdoti leghisti, e omettiamo anche i sempre più frequenti casi di aggressioni individuali ai danni di immigrati che si consumano in Italia, poiché ciò che ci interessa è verificare la ricaduta che sul piano collettivo i sentimenti che generano queste azioni hanno, al fine di stabilire se effettivamente siamo ancora (ammesso che lo siamo mai stati) il paese dell’accoglienza oppure no.  I fatti di Torino, più che in Italia, hanno trovato le prime pagine di parecchi giornali esteri, come lo spagnolo El paìs, che vi ha dedicato anche foto e articoli di vibrante denuncia. Ciascuno non sente l’odore che ha addosso, ecco, forse il nostro problema è proprio questo: ubriacati da anni di imperante “cultura” leghista e di dilagante berlusconismo, oggi crediamo di poterci permettere il lusso di discettare sulla presunta “accoglienza” della città di Torino e dell’Italia intera, anche di fronte a fatti di tale portata. L’assuefazione ad una emotività il cui humus è di chiara matrice razzista da una parte, l’abitudine ad una modalità frivola ed edonistica di guardare alle cose più serie, tale da indurre anche al dispregio della cultura, dall’altra, hanno partorito il monstrum, e noi oggi forse non siamo del tutto coscienti della china verso cui il nostro paese sta scivolando. Non ci sentiamo l’odore addosso.
Qualche giornalista più avveduto, commentando quei titoli dei giornali stranieri, aggiungeva non senza un mesto imbarazzo che l’Italia, dopo la stagione del bunga bunga, continua ad essere sulle prime pagine. Forse farebbe bene a tutti la lettura di un saggio pubblicato qualche tempo fa dal giornalista del Corriere della sera Gian Antonio Stella, il cui titolo è eloquente: “L’orda: quando gli Albanesi eravamo noi”. Un libro che parecchi Italiani farebbero bene a tenere sul comodino per ritrovarvi le radici della propria storia e della propria identità umana.    

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