martedì 1 marzo 2011

La migrazione e lo "straniero"


Lo Straniero
di Francesca Saieva
(foto by Francesca Saieva).
Riconosco la difficoltà di pensare a un pinguino come nuovo arrivante, se non in termini di “associazione psichica delle idee”. Già Platone ne faceva uso, e, anche se è improbabile l’esistenza di un Iperuranio in sé, meno inconciliabile è la sua teoria. Cose rimandano a cose e ancor di più a idee di cose; forse che l’idea si ponga come “rito di passaggio” tra una cosa e l’altra? Un filo conduttore che attraversa la soglia, sostanziando il ‘migrare’ della cosa in qualcosa d’altro.
A questo punto ci vorrà un esempio, per evitare che il dire sia soltanto un farneticare. Proprio oggi, infatti, ho scritto su un foglio bianco la parola 'migrazione', da cui adesso partono i miei pensieri associativi.


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Saremo quasi tutti concordi nel considerare la migrazione un termine ‘fluido’ (se rapportato al viaggio), purtuttavia riconoscendo le contraddizioni in esso presenti. L’anima, ad esempio, secondo metempsicosi trasmigra in altri corpi e nuove forme di vita, seppur ‘liberandosi’ rimane ‘ingabbiata’ da tale processo ciclico. Indiscutibile d’altronde la migrazione se non come viaggio, sia che riguardi gli uomini o il mondo animale; differenti però sono le motivazioni che l’identificano, così come altra è l’accoglienza in termini di ospitalità derivata.
Ma secondo l’incipit, chi è allora il nuovo arrivante? È lo straniero? No, il nuovo arrivante è molto di più! Prendo in prestito come risposta, infatti, una domanda di Derrida: l’ospitalità comincia con l’accoglienza senza domanda alcuna?Se per arrivante s’intende chiunque abiti la distanza, poco importa se il suo migrare sia dettato da motivi economici o ambientali, se nel suo migrare si confronti con altri popoli o con un nuovo spazio geografico... in quanto la sua è una condizione d’essere al mondo, del relazionarsi a un mondo che gli si muove incontro, prescindendo dal suo essere atteso o meno.
È richiesta, dunque, là dove ciò che si offre all’ospite è in modo non conforme al dovere, una Legge dell’ospitalità che in ‘assenza’ di dovere è derridianamente legge senza legge. Quasi che ‘sospendendo il giudizio’ l’arrivante si confronti con un'attesa incondizionata (e aggiungo neutrale) nell’attraversamento della soglia tra l’autentico e l’inautentico, che in una parola si faccia contaminazione.
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L’identità e il suo migrare, quindi, andrebbero viste in un viaggio di andata e ritorno, dove quest’ultimo possa essere ancora arrivo tra somiglianti, poiché singolo nonché ‘singolare’ è il senso ‘plurale’ di appartenenza per sopravvivere.
Come pinguini, così, marciamo lentamente e impacciati, secondo legge naturale non sempre del tutto consapevoli di quanto universali siano l’amore e l’odio, di quanti tappeti umani – quest'odio – abbia disteso su quante piazze (Szymborska), e così pure l’istinto per la salvaguardia di un’unica razza (mi piace pensare) e le sue differenti ‘specie’.

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