sabato 22 gennaio 2011

Relazione del prof. Costa alla "Commissione speciale per la Revisione e Attuazione dello statuto della Regione" (3° ed ultima parte)

Terminiamo la pubblicazione integrale dell'interessantissima Relazione prodotta dal professor Costa e consegnata alla "Commissione speciale per la Revisione e Attuazione dello statuto della Regione". A seguire la terza ed ultima parte di tale relazione (per leggere la nota del professor Costa, e le prime due parti della sua relazione, cercarle nei post precedenti).


Relazione (parte III)

Considerazioni politiche ed istituzionali

Rispetto al problema fondamentale sull’opportunità del mantenimento in vita del foro costituzionale speciale per la Sicilia, infine, non si può intanto prescindere da un dato empirico incontrovertibile: la giurisprudenza della Corte Costituzionale si è rivelata nel complesso quanto mai centralistica, squilibrata e inadeguata nel difendere le ragioni della nostra Autonomia speciale, tanto piú compressa dalle sue sentenze quanto piú avanzate erano le disposizioni in essa contenute.

Semmai anche si volesse forzare il diritto e considerare giusta nella sostanza quando non nella forma la famosa interpretazione “abrogativa” e quindi se si volesse ad ogni costo considerare in sé un fatto positivo per lo Stato nel suo complesso l’abrogazione dell’Alta Corte per la Sicilia, la storia dimostra come quella interpretazione sia stata un completo fallimento le cui conseguenze risultano talvolta paradossali. Si portano solo due esempi.

La figura del Commissario dello Stato, che doveva essere terza tra Stato e Regione, traeva ragion d’essere dalla presenza di un foro altrettanto terzo, quale l’Alta Corte. In assenza di essa, con una giurisprudenza sbilanciata drammaticamente a favore dello Stato, i ricorsi dello stesso si sono trasformati in un’inaudita censura preventiva sulla legislazione regionale. I Presidenti della Regione, ben sapendo che invariabilmente la Corte avrebbe ignorato le ragioni della Sicilia, hanno nel tempo promulgato solo le parti delle loro leggi non impugnate dal Commissario, dando valore di censura costituzionale al ruolo di un funzionario dello Stato che procede in via amministrativa, ponendo in tal modo l’Autonomia Siciliana ben al di sotto delle ordinarie autonomie regionali.

E, ancora, la giurisprudenza ha ristretto progressivamente i margini dell’Autonomia siciliana, cosí tanto da giungere infine alla sentenza n. 116 del 2010 con cui si è arrivata addirittura a disconoscere la propria precedente giurisprudenza e persino il disposto letterale del decreto attuativo dello Statuto, il n. 1074 del 1965, per quanto già “atrofico” questo fosse. Quando la giurisprudenza “costituzionale” arriva al punto di indicare un aggettivo dal significato univoco come il “maturato” di cui all’articolo 4 del decreto in parola con il significato ben differente di “riscosso”, invocando a tal fine nient’altro che i “principi generali dell’ordinamento”, si è chiaramente di fronte ad una situazione disquilibrio insanabile nella tutela di un ordinamento che di speciale ha ormai ben poco e che indica che la misura è ormai davvero colma.


Si guardi ora alla statistica complessiva delle pronunce costituzionali. Tolte le sentenze in cui la Regione Siciliana ricorreva insieme ad altre regioni per questioni di diritto comune, e quindi restringendo la nostra analisi ai soli conflitti di competenza tra Stato e Regione che riguardano specificamente la Regione Siciliana, la percentuale di “successo” delle ragioni siciliane nell’ultimo decennio è ormai praticamente pari allo 0 % quando, ai tempi dell’Alta Corte la stessa percentuale si aggirava intorno al 70 %.

Sarebbe lungo, doloroso, e forse anche infruttuoso ricordare ad uno ad uno tutti i passaggi attraverso i quali si è svuotato di ogni significato lo Statuto siciliano, e soprattutto, cosí monco, lo si è privato di una qualsiasi causa, di una qualsiasi ragion d’essere o tutela di interessi specifici che, mancando, come in ogni negozio giuridico, è causa irreversibile di nullità dello stesso. E, questo è il punto politico cruciale della questione, chi ha mai voluto o deciso di annullare lo Statuto siciliano? Chi aveva il potere di farlo senza passare dal Parlamento? Chi può farlo senza il consenso dei Siciliani – aggiungiamo – o anche solo il parere o, al limite, la sola informazione? Giacché – è indubitabile – la giurisprudenza della Corte Costituzionale è uscita ormai definitivamente dai ranghi dell’interpretazione per entrare apertamente in quelli di una legislazione abrogativa che non le competeva.

Fermiamoci intanto alle sentenze piú recenti. L’ordinamento tributario e finanziario – sul quale torneremo subito dopo – dispone chiaramente sui rapporti tra Stato e Regione? Non importa! Una legge delega ordinaria, e quindi ancor peggio i decreti attuativi decisi in sede governativa, possono passare sopra le norme costituzionali come un rullo compressore.

Lo Statuto dispone forme di garanzia e di messa in stato d’accusa per gli organi della Regione tutti propri? Non importa! Il governo può destituire unilateralmente il Presidente della Regione come se queste norme fossero scritte sulla sabbia.

Lo Statuto dispone una competenza integrale ed esclusiva della Regione sulla gestione e sulla difesa del territorio? Non importa! Lo Stato può liberamente istituire Parchi nazionali che si sovrappongono a quelli regionali come se nulla fosse.

Ma, andando indietro nel tempo, ci si accorge che la storia è tanto lunga quanto triste.

Ancora, fior da fiore.

Lo Statuto riconosce competenze legislative e di vigilanza su credito, finanza e assicurazioni alla Regione, ancorché concorrenti? Non importa!

Le competenze esclusive trovano come unico limite la Costituzione e le riforme agrarie ed industriali che avesse elaborato l’Assemblea costituente? Non importa! La legislazione siciliana è sottoposta comunque ai principi generali delle grandi riforme dello Stato, perché cosí c’è scritto negli altri quattro (?) statuti speciali.

Le circoscrizioni provinciali sono abolite e l’amministrazione periferica dello Stato deve essere devoluta al Presidente della Regione, che, in quanto Ministro, è preposto a tale amministrazione statale residua e devoluta nell’Isola e siede in permanenza nel Consiglio dei Ministri? Neanche se ne deve parlare.

La restante amministrazione, ampliata dalle nuove competenze successive alla riforma del Titolo V (2001) è totalmente e integralmente devoluta all’amministrazione regionale con l’obbligo per questa di risponderne unicamente all’Assemblea Regionale? Lettera morta.

La suddetta riforma del Titolo V dispone le competenze statali ma lo Statuto, in quanto norma speciale, può sottrarne qualcuna di queste ed attrarla alla propria competenza esclusiva o concorrente? In teoria, solo in teoria, è cosí, ma purché non si esca dalla teoria.

Una competenza della Regione si è spostata a livello comunitario e il rappresentante dello Stato italiano avrebbe dunque un obbligo quanto meno di consultazione nei confronti della Sicilia? Non si sollevi neanche il problema.

Lo Statuto non dispone nessun trasferimento a favore della Regione al di fuori di un consistente Fondo di Solidarietà Nazionale da destinare unicamente agli interventi infrastrutturali? Esso quindi “condanna” la Sicilia a vivere delle proprie risorse e a destinare quelle esterne agli strumenti di sviluppo? Sí, però è meglio continuare ad inviarle alcuni trasferimenti da negoziare al centro piuttosto che attribuirle il gettito che le spetta e che matura spontaneamente nell’Isola. Quanto all’ammontare del suddetto fondo esso – a quanto pare – sarebbe un obbligo costituzionale ma nel quantum integralmente rimesso alla discrezionalità dello Stato (anche un centesimo di euro l’anno va bene per la Corte Costituzionale?).

Insomma è inutile continuare quando il disegno è ormai chiaro, completo. Si può, si potrebbe, anche convenire sull’eccessiva autonomia di cui è stata dotata la Sicilia nel 1946. Ma in tal caso è il Parlamento, e solo il Parlamento, che deve ridefinire questa Autonomia di comune accordo con i Siciliani, non una dissimulata azione di forza quale quella che è stata sin qui attuata.

Ma il problema sostanziale piú importante è ben altro, e riguarda la soggettualità tributaria attiva, cardine dell’Autonomia siciliana, e quindi a fortiori mai attuata. Si è detto della continua ricorrenza in tutte le costituzioni storiche che la Sicilia ha avuto degli inalienabili poteri in materia finanziaria del suo Parlamento. Si è detto che nel nome di quell’Autonomia finanziaria e tributaria si sono fatte persino rivoluzioni. Si aggiunge che il dibattito in seno alla Consulta ebbe ben presenti quei precedenti storici e, in tutti i progetti preliminari, la potestà tributaria era riservata originariamente ai rappresentanti del Popolo siciliano, ora con la riserva di una compartecipazione statale, ora con la riserva di alcuni tributi alla competenza dello Stato.

Quest’ultima versione ebbe la meglio sulle altre. L’Art. 36 è perfettamente in linea tanto con il dibattito istituzionale dei tempi quanto con le tradizioni politiche della Sicilia: alla Sicilia spetta la gestione integrale del proprio ordinamento tributario, ovviamente nel rispetto dei principi costituzionali, allo Stato taluni tributi chiaramente e distintamente individuati per finanziare le poche funzioni amministrative che non erano devolute alla Regione. Questa soggettualità tributaria attiva, che è cosa affatto diversa dai “tributi propri” introdotti dalla riforma costituzionale del 2001 per tutti gli enti locali, è regolata nel Titolo V dello Statuto Speciale della Regione Siciliana e non negli articoli sulle potestà legislative dell’Assemblea, in cui infatti non si fa menzione di questa potestà. Essa è chiaramente, affinché abbia senso e un minimo di funzionalità, originaria ed esclusiva.

Ma questa potestà lo Stato italiano non l’ha mai fatta attivare. Dopo una dilazione “transitoria” durata circa dieci anni, la materia del contendere, sempre nel 1957, fu spostata alla Corte Costituzionale la quale – neanche a dirlo – ha dato ragione allo Stato. La competenza da esclusiva è stata intanto declassata a concorrente (appigliandosi a un dettato residuale dell’articolo 17[1] dello Statuto) e le imposte deliberate dalla Regione sarebbero state nientemeno che aggiuntive rispetto a quelle erariali: un vero e proprio non senso giuridico ed economico, peraltro oggi vietato dalle stesse norme comunitarie che inibiscono la doppia imposizione.

È sull’autonomia tributaria che è saltata l’Alta Corte e con essa tutta l’Autonomia siciliana! Ad un modello di sviluppo autogeno, fondato sulla fiscalità di vantaggio e sulla responsabilizzazione dell’amministrazione regionale, lo Stato ha preferito contrapporre un altro modello, divergente dal dettato statutario ma piú conforme ai poteri forti della Penisola: nessun’autonomia tributaria in cambio del 100 % delle imposte erariali riscosse nel territorio, molti trasferimenti dal centro e poche funzioni statali trasferite in cambio del quietismo centralista. Su questi accordi sostanziali fu soffocata la rivolta parlamentare del Governo Milazzo (1958-60), e, infatti, gli accordi finanziari successivi, culminati nel decreto attuativo del 1965, ponevano definitivamente in ombra l’applicazione sostanziale dello Statuto, rinviata sine die, in cambio di quella triste autonomia del privilegio e dello spreco che avrebbe creato soltanto assistenzialismo e alimentato sottosviluppo e malaffare.

E comunque, se tutto ciò appare tollerabile nel quadro di un vecchio Stato dalle tradizioni troppo centraliste per cedere davvero a legittime aspirazioni di autonomia, oggi questo orientamento politico non può che essere rivisto.

Il Federalismo, infatti, è un vento che soffia impetuoso sulle istituzioni italiane da almeno due decenni e, in questo quadro, i freni posti all’Autonomia siciliana non hanno piú quella ragion d’essere che eventualmente potevano avere avuto in passato. In altre parole siamo disposti a comprendere le perplessità di giuristi nati e formati in un ambiente rigidamente unitario, e similmente quella del Presidente Gronchi, che pure non negò mai in linea di principio che tale Corte dovesse sussistere. Mentre lo capiamo molto meno oggi che la concezione unitaria dello Stato appare definitivamente tramontata, e non solo nel nostro Paese e che da ben altra parte potrebbero venire minacce all’unità politica dello Stato.

E infatti, nel quadro dell’Unione Europea successiva all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, non siamo piú in presenza di uno stato positivistico cui ogni sovranità è subordinata, ma in un sistema pluralistico di istituzioni e di ordinamenti a vari livelli (europeo, statale, regionale, locale), anche differenziati, in presenza persino di forme di sussidiarietà orizzontale verso la società civile. In questo quadro la presenza di un ordinamento europeo sovraordinato a quello statale cancella in un colpo solo la pretesa unicità di giurisprudenza costituzionale, la sua inappellabilità, la derivazione deduttiva di tutto il diritto da una “norma fondamentale”.

In questo quadro complesso non si spiegherebbe perché in Europa ci debbano e possano essere autonomie differenziate di ogni tipo, mentre l’unica che non si potrebbe attivare sarebbe proprio quella siciliana in nome di un malinteso principio di unità di giurisprudenza costituzionale che, ormai, sarebbe soltanto di “sub-unità”, poiché lo Stato italiano non è piú uno stato a piena sovranità, e quindi espressione un ordinamento giuridico del tutto autosufficiente, come forse teoricamente era in passato[2], ma semplicemente uno degli ordinamenti che entra nel complesso sistema degli ordinamenti europei, sovranazionali, nazionali e locali. In questo quadro obiettare che la Sicilia non può laddove uno stato europeo anche piccolo può, o che la Sicilia non può, laddove un’altra Regione di altro Stato può (e non ci si riferisce al solo tema dell’Alta Corte, ma soprattutto a quelli a valle, dell’applicazione dello Statuto, che solo la presenza di tale foro renderebbe possibili), sarebbero una pericolosa e formidabile istigazione ai cittadini siciliani a denunciare quell’unità politica del Paese che da grande e storica opportunità si ridurrebbe a mero fardello quando i vantaggi dell’Unione (a parte quelli etici e ideali, qui neanche posti in discussione) si avrebbero comunque dall’Unione e dalla integrazione politica europea che supererebbe ad un livello piú alto quelli statuali ereditati dal Risorgimento.

Poco rileva, a tal fine, il fatto che alcuni istituti della Nostra Autonomia non siano ravvisabili in altre autonomie speciali del Continente. Da quando, infatti, le Autonomie speciali sono prodotte in serie? Cosa avrebbero di speciale se cosí fosse? Alcune autonomie presenti nel Continente europeo, ad esempio, asseriscono per le relative regioni la natura di vera e propria nazione, mentre l’attuale Statuto della Regione Siciliana asserisce la partecipazione indubbia della Sicilia alla compagine della Nazione italiana. Può essere questo fatto di per sé motivo perché la Sicilia “rivendichi” pari trattamento anche su questo fronte? Le comparazioni, dunque, non vanno poste solo in negativo, per cassare quegli istituti che non si trovassero altrove se non si vuole attivare, forse, una deriva eversiva che cercherebbe, questa volta in positivo, di trovare per contro tutte le massime espressioni di autonomia differenziata presenti nel sistema degli ordinamenti costituzionali europei, ciò che porterebbe fatalmente a sicura secessione, e non solo della Sicilia. Si rispettino dunque i patti differenziati che sono diversi semplicemente perché figli di storie altrettanto diverse.

Ovviamente, quindi, l’attivazione dell’Alta Corte non è solo un piano fatto giuridico. Essa è un fatto eminentemente politico, sul quale, ovviamente, la discussione può essere aperta, come le opzioni che si possono seguire. Ma qualunque riforma dell’ordinamento costituzionale speciale siciliano, qualunque dibattito, non si potrà avere se non partendo dal punto in cui si è abbandonata la strada della legalità, tanto da un punto di vista formale quanto da un punto di vista sostanziale. Solo dopo il ripristino dell’Alta Corte qualunque riforma dello Statuto sarà possibile, ovviamente sempre con il concorso del Popolo Siciliano che quel patto un tempo ha sottoscritto.

Una valutazione di opportunità potrebbe essere fatta, ad esempio, sul punto in cui tale Alta Corte resterebbe un istituto unico anche fra le Regioni a statuto speciale. Ma se è vero che la Regione Siciliana fa parte di questo insieme è anche vero che questo insieme di autonomie differenziate non lo sono solo rispetto a quelle ordinarie ma anche, e non di poco, fra di loro. La Repubblica, nei suoi organi competenti, potrà prendere ogni decisione in merito, ma dando sempre in ogni caso il segnale ai cittadini siciliani del rispetto del loro diritto di cittadinanza e del connesso principio di legalità. Oggi non vi è nulla di piú devastante per la Sicilia e per i Siciliani che il segnale di mancanza di rispetto per il principio di legalità da parte, nientemeno, che dello Stato stesso. In ogni caso a ogni maggior diritto corrisponde sempre un maggior dovere, e se l’Alta Corte può dare l’impressione di sottrarre in parte i cittadini di Sicilia da alcuni ambiti del nostro ordinamento per dar luogo ad un sub-ordinamento autonomo, è anche vero che ciò comporterà anche maggiori doveri in ordine all’espressione di una classe politica piú responsabile rispetto a quella da “provincia d’oltremare assistita” alla quale l’omologazione ordinaria ha condotto in questi decenni.

Non c’è maggior forza dell’evidenza della sostanza che talvolta prevale anche sulla forma: quando la Sicilia aveva l’Alta Corte pareva definitivamente avviata al superamento della sua storica e strutturale marginalità mentre, al contempo, mai vi furono insanabili conflitti istituzionali tra Stato e Regione o derive eversive, laddove, purtroppo, i decenni successivi costituiscono una storia complessivamente da archiviare per ricominciare proprio da dove il processo autonomistico è stato drammaticamente interrotto.

Alla domanda quindi perché la Sicilia debba avere una Consulta “Speciale” si può senz’altro rispondere che la Sicilia costituisce un compartimento autonomo della Nazione italiana, dotato di un sistema politico proprio e di dinamiche proprie che l’omologazione non fa altro che mortificare rendendo, questa volta, speciale in negativo la nostra Regione, giacché speciale solo nel grado di sottosviluppo, emarginazione e sfruttamento esterno semplicemente indegno di cittadini che si vorrebbe fossero anche “con-cittadini” degli altri italiani e – lo ribadiamo con forza – non piú e solo “sudditi d’oltremare”.

La Sicilia pertanto non chiede privilegi, che peraltro in passato sono stati erogati solo ad una ristretta cerchia di “politici di professione” in cambio della rinuncia – vile si osa dire – dei sacrosanti diritti costituzionali della Nostra Terra. La Sicilia cerca solo responsabilità, e il suo Statuto è fondato sulla responsabilità e non sul privilegio, almeno se si ha il coraggio di leggerlo e di parlarne a ragion veduta. Ma esso resterà sempre lettera morta sinché non si avrà l’Alta Corte a giudicare sui conflitti di competenza con lo Stato e sulla complessiva costituzionalità delle norme aventi vigore in Sicilia perché a norme tanto speciali devono di necessità corrispondere tutele giurisdizionali non meno speciali.

Ogni scelta di segno diverso, sostanzialmente repressiva, potrà forse dare l’illusione della forza e della soluzione del problema. Ad una Autonomia che unisce si preferirebbe un centralismo che sostanzialmente dilania il Paese, e dunque lo divide in modo forse inesorabile e certamente irresponsabile.
Per questa ragione si confida in quella saggezza istituzionale che il nostro Capo dello Stato ha ricordato nella sua ultima visita all’Assemblea in occasione della ricorrenza della prima convocazione del Parlamento siciliano e del riconoscimento dell’Autonomia medesima come sostanziale fattore di coesione del sistema Paese ai fini di un positivo riscontro della nostra richiesta, che è richiesta di un Popolo, che è richiesta – non dimentichiamolo mai – di Cittadini italiani che non vogliono essere spinti dalla perenne frustrazione delle loro ragioni verso una progressiva alienazione di questo senso di appartenenza, ancora oggi relativamente forte nonostante tutto.
NOTE:
[1] Questa lettera residuale delle competenze concorrenti della Regione (“tutte le altre materie di interesse regionale”) per effetto del combinato disposto dello Statuto Siciliano con la riforma costituzionale del 2001 che attribuisce alla competenza esclusiva delle Regioni ogni materia non espressamente riservata alla competenza dello Stato, attrarrebbe comunque la legislazione tributaria siciliana alla sfera esclusiva, ma in ogni caso il punto della questione è politico e non semplicemente giuridico e, in sede politica, esso dovrà trovare la propria composizione.
[2] Si dice “forse” perché le limitazioni di sovranità dell’ordinamento statuale derivanti da quelli internazionali e, già in potenza, da quelli sovranazionali europei, erano già contenute nei Principi fondamentali della Costituzione del 1947 all’art. 11.

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